In Evidenza Legge di bilancioOpen ArmsTony Effe
ATTUALITÀMaternitàRicerca scientificaSanità

La fecondazione eterologa in Italia? «Un’auto senza carburante»

03 Agosto 2019 - 07:13 Angela Gennaro
Non ci sono donatrici, perché l'Italia è l'unico paese che non prevede alcun rimborso spese per chi dona. Non solo: Sono più di 70mila gli embrioni sparsi in giro per l’Italia che non possono essere smaltiti o altro. Chiediamo che possano essere usati a fini di ricerca, per esempio, sulle staminali embrionali»

Sono trascorsi cinque anni da quando, il 9 aprile 2014, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa che era imposto in Italia dalla legge 40/2004. Da quel momento, anche le coppie italiane possono quindi ricorrere alla donazione di gameti maschili e femminili (sperma e ovuli di donatori) nel ricorrere a tecniche di riproduzione assistita. «Una sentenza importante: ha consentito di ridurre i flussi di turismo procreativo forzato verso l’estero», dice a Open l’avvocato Gianni Baldini, direttore della Fondazione Pma Italia. 

Oggi «la situazione generale in Italia è buona, ma abbiamo ancora punti non ben definiti», spiega a Open Andrea Borini, past president della Società italiana di fertilità e Medicina della Riproduzione (Sifes-Mr), ginecologo e direttore di 9.Baby, rete di centri per la cura e la diagnosi della sterilità maschile e femminile. «Per la fecondazione omologa non ci sono più problemi: possono essere usati più ovociti e si possono quindi ottenere più embrioni. Questo è positivo per il benessere della donna, perché limita il numero di stimolazioni cui deve essere sottoposta». 

E per l’eterologa?  «C’è, ma è come avere un’auto senza carburante», dice Baldini. Perché mancano donatori e donatrici di gameti. «E quindi siamo costretti a importare dall’estero tutto ciò di cui c’è bisogno». 

I figli dell’eterologa

Il numero e la qualità degli ovociti di una donna, dice la scienza, diminuiscono con l’aumentare dell’età. Con conseguente diminuzione della possibilità di formazione di embrioni, soprattutto di quelli con un numero di cromosomi nella norma e quindi con più chance di evolversi in una gravidanza. L’utero, invece, resta in grado di portare avanti una gravidanza anche in una donna di età più avanzata: ecco il ruolo dell’eterologa e dell’ovodonazione.

I “figli dell’eterologa”, nel 2016, erano quasi 1500. Secondo l’ultima relazione disponibile del Registro Nazionale della Pma dell’Istituto Superiore di Sanità, su quasi 475mila bambini nati in Italia nel 2016, 13.582 (ovvero il 2,9%) sono venuti al mondo grazie alla procreazione medicalmente assistita: 12.125 da Pma senza donazione e 1.457 da Pma con donazione di gameti.

Sono circa 10-11mila i trattamenti – si parla di cicli – di Pma eterologa fatti da coppie italiane dal 2014, anno della sentenza che ha abolito il divieto per questa pratica in Italia. Di questi, 6/7mila sono stati effettuati nel nostro paese, dice Gianni Baldini, «con una progressione in aumento: dal 2014, ogni anno c’è stato un incremento del 10%». Gli altri, all’estero: più di un terzo delle coppie italiane fa ancora turismo procreativo in cliniche straniere, aggiunge. Per consuetudine dei ginecologi, per scarsità di informazioni reperibili in Italia. E perché «se si è costretti a usare materiale biologico importato, a quel punto si va direttamente all’estero», aggiunge Baldini. In Spagna o in Grecia. Anche perché «il volo Palermo-Barcellona forse costa meno del Palermo-Milano».  

Nel 2016 in Italia

12125Nati da PMA Omologa 1457Nati da PMA Eterologa 2,9% di 475mila bambini

«Questi trattamenti sono iniziati un po’ in sordina, poi sono stati sempre più usati», dice Andrea Borini. Nell’attesa dei dati ufficiali, una stima «realistica» per gli anni successivi a 2016 è possibile: «Ora potremmo essere intorno ai 5mila bambini nati in totale in cinque anni». 

All’interno dell’Unione europea, come sottolineano dalla Società Italiana Embriologia Riproduzione e Ricerca, la donazione di cellule e tessuti è regolamentata da una prima Direttiva 2004/23/CE e da due successive direttive tecniche 2006/17/CE e 2006/86/CE. La direttiva europea che prevede lo stoccaggio e la conservazione di gameti prevede che la donazione debba essere volontaria, altruistica, gratuita, consentendo però un rimborso spese.

Ma il recepimento della direttiva in Italia ha escluso quest’ultimo punto: siamo l’unico paese che ha deciso in questo senso. «Il risultato è che, per non rimborsare le nostre donatrici, andiamo a comprare all’estero i gameti a prezzi ben più alti. Per un ciclo di Pma, quattro ovociti costano circa 3mila euro importati da banche spagnole, per esempio», avverte Baldini. I costi dell’eterologa lievitano tanto da farla risultare «quasi non più concorrenziale rispetto a quanto fatto recandosi direttamente all’estero».

‘Prima i gameti italiani’?

No. Non ce ne sono, gli italiani e le italiane non donano: in Italia, il 95% di trattamenti di eterologa viene fatto con seme e ovuli importati dall’estero. «O riteniamo che la Corte Costituzionale abbia preso decisioni su un tema futile, o realizziamo che la necessità di avere gameti e quindi donazioni è una necessità del Paese», chiosa Andrea Borini. «E quindi, come tale andrebbe affrontata». Sui gameti c’è una battaglia etica, filosofica, avverte.

In Italia i donatori candidabili alla donazione di gameti, spiega a Open Laura Sosa dalla Sierr, sono «uomini di età compresa tra i 18 e i 40 anni» e donne «tra i 20 e i 35 anni»: sia che non si stiano contemporaneamente sottoponendo a un trattamento di fecondazione assistita a loro volta, sia che invece lo stiano facendo (sharing). Sia, infine, che abbiano congelato gameti in passato e non volendo utilizzarli decidono di donarli. Su di loro si effettuano esami di screening «a massima tutela dei riceventi: un anamnesi clinica, psicologica e genetica, esami infettivologici e genetici», spiegano dalla Sierr. Il numero massimo di famiglie con bambini nati da uno stesso donatore non può essere superiore a 10, dice ancora. La donazione è in anonimato – «solo in casi straordinari i suoi dati potranno essere conosciuti dal personale sanitario».

Pixabay

Per donare, una donna «va sei/sette volte al centro, fa controlli, esami», spiega Andrea Borini. «Una donatrice che dà i propri ovociti deve sottoporsi a una piccolo intervento», spiega l’avvocato Baldini. Il giorno della donazione non può andare al lavoro, perché l’estrazione prevede una piccola sedazione. «Ha uno stress psicofisico importante, deve assumere farmaci: tutti costi che all’estero vengono quantificati tra le 600 e le 1100 euro di rimborso spese e che consentono quindi una donazione che naturalmente deve essere anonima». In Italia no, non è previsto. «È significativo il fatto che nel nostro paese non ci siano neanche donatori maschi», dice Borini. «Immagino ci siano anche ragioni culturali, legate al fatto che questa pratica è stata vietata per cinque anni».

«Occorre organizzare un sistema per la donazione dei gameti», avverte Gianni Baldini. «Che preveda innanzitutto una campagna di informazione e promozione della donazione volontaria e altruistica». «Era previsto che il ministero della Salute e gli organi di governo facessero campagne di informazione sulla donazione», aggiunge Borini. Nessuna traccia. E non è solo un problema di gameti: si prenda il sangue, che non dovrebbe porre alcun problema morale. «L’unico posto dove si fa informazione sulla donazione di sangue è la scuola, e non certo con campagne importanti». I gameti, invece: non pervenuti. E poi – e l’opinione di chi si occupa di questi temi è unanime – «come nei paesi da cui importiamo, è necessario prevedere un sistema che preveda il rimborso per i donatori: non significa pagarli, ma rimborsare le spese vive sostenute», aggiunge il direttore della Fondazione Pma Italia. 

Le richieste alla politica

Questo tema «è stato condizionato da ragioni etiche e ideologiche», avverte Andrea Borini. E il ministero della Salute «governato, dal punto di vista burocratico e amministrativo, da figure espressione di un’ideologia precisa: diffidenza nei confronti di qualsiasi applicazione biotecnologica, attenzione ad altri profili e timore di sfruttamento commerciale delle persone»

Passi avanti ne sono stati fatti, comunque. Come quello della possibilità della diagnosi genetica preimpianto. «Permette di diminuire il tasso di aborti, impiantando solo embrioni che hanno più possibilità di diventare una gravidanza che verrà portata a termine». La salute ringrazia, e anche l’impatto emotivo sulla coppia, che vede diminuire i tentativi fallimentari. 

«È improcrastinabile far funzionare davvero l’eterologa, evitando di costringere i centri a importare con costi esagerati materiale biologico dall’estero», spiega l’avvocato Gianni Baldini. «Ed è necessario strutturare un sistema di informazione e di prevenzione della fertilità con rimborso di donatori e donatrici come funziona negli altri paesi europei». Siamo gli unici a non farlo. Perché? Innanzitutto «perché abbiamo il Papa», chiosa Luca Mencaglia, che della Fondazione PMA è il presidente e che è anche direttore della Rete regionale sulla prevenzione e cura dell’infertilità della Regione Toscana. «Poi però acquistiamo da banche estere: un’ipocrisia». 

Luca Mencaglia, presidente Fondazione PMA
Luca Mencaglia, presidente Fondazione PMA

70mila embrioni sospesi

E c’è un altro problema. «Da ogni ciclo di Pma, con la modifica della legge 40 che non prevede più l’obbligo del contemporaneo impianto, si è determinata la creazione di un numero di embrioni sovrannumerali che vengono accantonati», spiega Baldini. Che fine fanno? Nessuna. «Devono essere obbligatoriamente conservati: non è possibile procedere al loro smaltimento né finalizzarli ad altro, per esempio alla ricerca». Al contrario della Spagna, per esempio, dove questo può succedere. «Non verranno più usati dal ciclo riproduttivo e devono essere conservati a spese dei centri a tempo indefinito. E questo è un assurdo».

Sono più di 70mila gli embrioni sparsi in giro per l’Italia che non possono essere smaltiti o altro. Con annessi costi per gli istituti che hanno l’obbligo di consenvarli nell’azoto liquido da qui all’eternità. «Chiediamo che possano essere usati a fini di ricerca, per esempio, sulle staminali embrionali». Fini terapeutici «utili per la ricerca su patologie neurodegenerative che per ora non hanno soluzione».

Un embrione di cinque giorni. Epa/Waltraud Grubitzsch
Un embrione di cinque giorni. Epa/Waltraud Grubitzsch

«Storicamente, la principale forza di opposizione all’intero tema è stata la gerarchia cattolica», conferma Gianni Baldini. «Ora, con Papa Francesco, ha però assunto una posizione diversa: una strategia di mantenimento legittimo di alcune posizioni ma di non ingerenza diretta sulla politica. Un nuovo corso da cui saremmo agevolati». Ma? «Le vicende politiche che si stanno consolidando sono preoccupanti: le posizioni di forze di destra conservatrici sono sicuramente contrarie a qualsiasi tipo di sviluppo o soluzione. Con i risultati delle ultime elezioni, non possiamo aspettarci niente di buono», dice Baldini. 

«Siamo in contatto con la commissione Sanità del Senato per stilare un progetto di revisione della legge 40», spiega Mencaglia. Il relatore è il presidente, Pierpaolo Sileri, M5S. «Speriamo che vada avanti». Tempi? «Dipende. Se la politica vuole, basta un mese. Se non vuole, può finire chiuso in un cassetto». 

In uno spazio comune europeo «dove ciò che non si può fare in Italia si può fare nei paesi accanto, dove si va con la sola carta d’identità, bisognerebbe prendere in considerazione con realismo l’esigenza di regolare questi fenomeni», dice Baldini. Anche perché «stiamo già agendo con materiale estero», aggiunge Mencaglia. «Sarebbe solo un risparmio: milioni di euro usati per acquisire materiale biologico da banche estere verrebbero dirottati su banche italiane». 

«Al di là dell’ipocrisia, occorrerebbe prendere atto che l’Europa non ha più confini e il prodotto di queste tecniche ha diritto di essere regolato». I bambini, avverte l’avvocato Baldini. «Non chiedono loro di venire al mondo. Ma hanno diritto ad avere diritti». 

I Centri e il Registro

Ci sono due strade in Italia, spiega Borini: «Si importano gli ovociti o si esporta sperma, per esempio in Spagna, Grecia o Repubblica Ceca: lì dove sono disponibili banche di gameti. In quella banca si formano gli embrioni che poi vengono congelati e mandati in Italia per il transfer. Oppure a essere importati nel nostro paese sono gli ovociti congelati: l’embrione viene formato qui e qui si fa poi il transfer, cioè il trasferimento dell’embrione formato all’esterno nell’utero della donna». 

La fondazione Pma Italia è l’organizzazione di categoria dei centri pubblici e privati di pma. «Ne raggruppiamo quasi 80, con il 65% circa delle prestazioni totali», dice il professor Baldini. «I centri sono poco meno di 300 in tutta Italia, grandi e piccoli, principalmente concentrati al centro-nord. I più grandi sono a Roma, Firenze e Milano».

A raccogliere i centri è il Registro Nazionale della Pma dell’Istituto Superiore di Sanità, diretto dalla dottoressa Giulia Scaravelli: è in funzione dal 2005, spiegano a Open dal Registro.

Centri pubbliciCentri privati
  • Lombardia1730
  • Trentino Alto Adige52
  • Valle d’Aosta10
  • Friuli Venezia Giulia31
  • Piemonte915
  • Veneto1324
  • Liguria42
  • Emilia Romagna1012
  • Toscana815
  • Marche25
  • Umbria11
  • Abruzzo33
  • Sardegna30
  • Molise02
  • Lazio630
  • Puglia412
  • Campania934
  • Basilicata20
  • Sicilia529
  • Calabria28

Raccoglie il 100% dei cicli applicati nel 100% dei Centri di Pma autorizzati dalle Regioni di appartenenza www.iss.it/rpma. Ogni Regione ha accesso ai dati dell’attività di tutti i centri autorizzati sul proprio territorio. Il Registro italiano «è uno dei principali registri europei e raccoglie una mole dati di circa 100mila cicli annui attestandosi così fra i primi in Europa sia per numerosità di cicli che per completezza dei dati», dicono ancora dall’Iss. Sono nove, in tutta Italia, i centri di Pma che nel 2016 hanno effettuato almeno 1500 cicli totali, con attività di I e II livello ma anche di III, ovvero con donazione di gameti.

In Italia, per legge, può accedere al trattamento di fecondazione assistita una coppia di sesso diverso in età fertile (prima dei 50 anni della donna) e maggiorenne. È vietata per le coppie omosessuali o per single. Vietata anche, come noto, la maternità surrogata.

È il Registro che, tra i suoi compiti, redige la relazione annuale da inviare al ministro/ministra della Salute, «che renda conto dell’attività dei centri di Pma, e che consenta di valutare, sotto il profilo epidemiologico, le tecniche utilizzate e gli interventi effettuati». L’ultima relazione risale al 2016: per la prossima, la ministra della Salute Giulia Grillo è attesa in parlamento a luglio. 

La ministra della Sanità, Giulia Grillo. Ansa/Claudio Peri
La ministra della Sanità, Giulia Grillo. Ansa/Claudio Peri

Che fotografia emerge dall’ultima relazione annuale del 2016?

«Mostra come l’efficienza delle tecniche di crioconservazione sia aumentata progressivamente e si sia consolidata, permettendo quindi di valutare il “successo” di un ciclo come espressione di più cicli ripetuti partendo da una singola stimolazione ovarica e da un unico “pool” ovocitario», spiegano a Open dal Registro dell’Iss. I cicli infatti possono essere applicati sia con modalità a fresco, usando quindi gameti ed embrioni non crioconservati, sia con successivi molteplici tentativi con ovociti/embrioni crioconservati senza ripetere la stimolazione ovarica e il prelievo ovocitario. «Si parla oggi quindi di percentuale cumulativa di gravidanza, intendendo la somma dei cicli a fresco e di quelli crioconservati che porteranno a una gravidanza e a un bambino nato».

Quanti sono i trattamenti che vanno a buon fine? «Non c’è un numero sicuro», avverte il professore Gianni Baldini. «Le gravidanze ottenute sono circa un 30%, con picchi del 50-60% perché in genere si ricorre all’eterologa in età avanzata della donna». 

Pixabay

Secondo il Registro, nel 2016 vi è stato un aumento del 123% rispetto all’anno precedente dell’applicazione delle tecniche con donazione di gameti. Quanto all’accessibilità alle tecniche, il numero di cicli offerti per milione di donne in età riproduttiva (15-45 anni) in Italia sta aumentando: 6.781 cicli iniziati per milione di donne in età feconda nel 2016. Un dato «confrontabile oggi con quello europeo: 7.608 cicli iniziati riferiti all’anno 2014 come ultima rilevazione disponibile». 

L’età media delle pazienti che si sottopongono a un ciclo di Pma in Italia varia a seconda della tecnica usata. Per il 2016, l’Istituto Superiore di Sanità ha registrato un’età media di 36,8 anni per le pazienti che hanno iniziato un ciclo a fresco (tecnica FIVET o ICSI), e di 35,3 anni per quelle che hanno iniziato un ciclo con scongelamento di embrioni o di ovociti (tecnica FER e tecnica FO). L’età si abbassa in caso di donazione di seme a 35,2 anni. E si alza, invece, (a 41,4 anni) per le pazienti che iniziano un ciclo con donazione di ovociti.

Se il turismo procreativo verso l’estero si è ridotto, resta quello interno, la «migrazione interregionale» delle coppie. La regione che applica più cicli su pazienti provenienti da altre regioni, spiegano a Open dall’Iss, è la Toscana con il 65,4%. Le regioni in cui sono applicati il maggior numero di cicli a fresco di II e III livello sono la Lombardia (15.461), la Toscana (6.559), la Campania (5.095), il Lazio (4.887) e l’Emilia Romagna (4.598).

Il consiglio di Stato

Che ci sia molto da fare, su questo tema, lo dimostra anche un recente parere del Consiglio di Stato che dà il via libera al regolamento con cui sono state recepite in Italia alcune direttive europee anche sulla donazione di gameti per l’eterologa. Dà semaforo verde allo schema di decreto approvato in via preliminare lo scorso aprile dal Consiglio dei Ministri, ma detta alcuni paletti, come quello sull’età dei donatori, il suo limite, e sul numero di ovociti. Aspetti che al momento in Italia, dice il Consiglio di Stato, non godono di adeguata disciplina: solo generiche indicazioni. «Un vulnus, come peraltro riconosciuto anche dalla comunità scientifica».

Fecondazione in vistro

Il limite di età per la donazione (i suggerimenti emersi nelle audizioni parlano di 25 anni per le donne e 35 per gli uomini) «dovrà poi essere sottoposto a verifica periodica». Il limite alla donazione degli ovociti e dei gameti maschili è invece necessario «per limitare le nascite di bambini portatori (anche solo in parte) del medesimo patrimonio genetico» e «per ridurre il numero di stimolazioni ormonali cui può sottoporsi la donna per donare gli ovociti con conseguente pregiudizio per la sua salute».

Il testo, come ricorda Quotidiano Sanità, dovrà ora passare in Parlamento per l’esame da parte delle Commissioni competenti. Successivamente, tornerà nuovamente in Consiglio dei Ministri per il via libera definitivo.

I costi

Il costo per un ciclo di II – III livello, spiegano dal Registro dell’Iss a Open, «si aggira intorno al 4-5 mila euro», più 1-2 mila euro in più «se si effettua un ciclo con donazione di gameti. In base alle tecniche applicate il costo può variare di 1-1,5 mila euro».

Distribuzione regionale del numero di cicli iniziati
Livello I e II/III con una donazione di gameti dell’anno 2016

Centri PMA
  • Lombardia309
  • Trentino Alto Adige30
  • Valle d’Aosta0
  • Friuli Venezia Giulia138
  • Piemonte390
  • Veneto379
  • Liguria2
  • Emilia Romagna1438
  • Toscana880
  • Marche3
  • Umbria0
  • Abruzzo17
  • Sardegna0
  • Molise29
  • Lazio996
  • Puglia262
  • Campania325
  • Basilicata0
  • Sicilia659
  • Calabria117

Fonte/Società Italiana Embriologia Riproduzione e Ricerca

L’eterologa, in generale, può costare insomma dai 5 ai 7-8mila euro in Italia, dice Andrea Borini. «Dipende da quanti ovociti si hanno a disposizione per il trattamento, per aumentare la probabilità cumulativa». In Spagna il costo «dipende dai centri», spiega Borini. «Ci sono anche centri solo per l’eterologa di basso livello culturale e di affidabilità. Si trova di tutto, dai 6mila ai 12mila euro». Il costo dipende anche dalla scelta di avere o meno la donatrice in sharing, ovvero in condivisione: se si decide di importare tutti gli ovuli prodotti da quella donatrice con quel trattamento, il costo sarà più alto. Se si decide di “condividere” gli ovuli, il prezzo naturalmente scende. Un particolare che spesso alcuni istituti omettono di specificare nei primi contatti con cui la coppia cerca di raccogliere informazioni. 

L’altro motivo per cui i pazienti italiani vanno ancora all’estero è rappresentato dalle «campagne on line di comunicazione sui risultati», prosegue Borini. Nei centri spagnoli o della Repubblica Ceca «si parla di possibilità di riuscita del 60, 70, anche dell’80%, grazie all’uso di ovociti freschi». Peccato che si tratti di «una costruzione ingannevole». A 20 anni, come detto, una coppia senza problemi di sterilità ha 30 probabilità su 100 di una gravidanza avendo rapporti nei giorni giusti. «I numeri sono quelli: anche con ovociti di donne giovani», chiosa il medico. «Le coppie provano mese dopo mese, la probabilità diventa cumulativa e nei primi sei mesi sale quindi al 70%. Ecco, quando vengono date le percentuali del 70-80% nelle cliniche si parla di cifre spalmate su un alto numero di cicli». Senza farsi capire bene, però: «Ecco perché spesso i pazienti e le pazienti pensano che andando in Spagna avranno il 70% di probabilità di avere un bambino. Bisognerebbe invece spiegare loro che la biologia non consente a nessuno quelle percentuali in un solo tentativo». 

Sullo stesso tema:

Articoli di ATTUALITÀ più letti