A Malta i 40 della Alan Kurdi. Sea Eye: «L’Italia abbandona le sue responsabilità umanitarie». E Open Arms è ancora in mare
«Vous allez à Malte». Ed è un’esplosione di urla e gioia, come sempre avviene in questi momenti, quella che anima nella notte la Alan Kurdi, la nave umanitaria della ong tedesca Sea Eye che mercoledì scorso ha salvato 40 persone nel Mediterraneo centrale.
Quelle stesse persone – provenienti da Ghana, Liberia, Togo, Mali, Camerun e Costa d’Avorio – sono ora appena state sbarcate nell’isola di Malta: le motovedette delle forze armate maltesi hanno effettuato il trasbordo e i naufraghi sono stati portati a terra. Nessuno resterà nell’isola: da qui verranno distribuiti nei vari paesi europei. Germania, Francia, Lussemburgo e Portogallo sono gli Stati che hanno accettato di aderire alla loro ricollocazione.
Beinahe wären sie alle gestorben. Jetzt feiern sie das Leben. Mögen Sie in ihrer neuen Heimat offene Arme und Herzen finden.
— sea-eye (@seaeyeorg) August 3, 2019
Am Sonntagvormittag werden sie die #AlanKurdi verlassen.
„Dies ist der Tag, den der Herr macht; lasst uns freuen und fröhlich an ihm sein.“ pic.twitter.com/u6uLGDrms6
La Alan Kurdi non è entrata nelle acque territoriali maltesi. Tra i 40 a sbarcare, un bambino di 4 anni. Sulla spalla ha una grossa cicatrice: è una ferita di arma da fuoco, segno della sua permanenza nei lager della Libia.
Sea Eye attacca l’Italia
La conferma era arrivata in serata dal premier maltese Joseph Muscat, che aveva annunciato la disponibilità di Malta allo sbarco dei migranti in seguito alla richiesta di collaborazione del governo tedesco.
Un passaggio che era stato preceduto dal no dell’Italia – con decreto di divieto di ingresso nelle acque territoriali firmato prima dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e poi, di concerto, anche dalla ministra della Difesa Elisabetta Trenta e dal suo collega alle Infrastrutture e Trasporti Danilo Toninelli.
La decisione di consentire lo sbarco, spiega Muscat alla stampa, è «segno di buona volontà». «Buon senso» è poi lavorare con altre nazioni per il salvataggio delle vite umane. «Quando siamo stati contattati dal governo tedesco, la Germania era consapevole che non era nostra responsabilità, ma ci ha chiesto di raggiungere a un accordo». I profughi, conferma Muscat, «non resteranno a Malta, saranno redistribuiti, ma sentiamo come nostra responsabilità lavorare assieme».
Following request by #Germany, #Malta will allow 40migrants on German vessel #AlanKurdi to transfer to @Armed_Forces_MT asset, enter port. German gov & @EU_Commission arranged for all persons to be distributed amongst number of EU MemberStates. No migrants will remain in Malta-JM
— Joseph Muscat (@JosephMuscat_JM) August 3, 2019
Duro l’attacco del portavoce di Sea Eye, Gordon Isler. «La rapida decisione di Malta e il loro aiuto sembrano così umani perché lItalia ha invece completamente abbandonato le sue responsabilità umanitarie», scrive Isler su Twitter. Il comportamento di Malta «è normale e legato al diritto internazionale. Il comportamento dell’Italia, invece, è un disastro».
#Malta‘s rapid decision and aid only seem so humane because Italy has completely abandoned its humanitarian #responsibility. Malta’s behaviour is normal and correlates with international laws. #Italy‘s behaviour is a disaster.#AlanKurdi #saveLives
— Gorden Isler 🇪🇺🧡🚀 (@gorden_isler) August 3, 2019
Restano invece ancora in mare i 121 migranti a bordo della nave della ong spagnola Open Arms, in mare tra Lampedusa e Malta. «Ogni minuto che passa la situazione peggiora, i migranti devono essere sbarcati il prima possibile in un porto sicuro», è l’appello della capo missione Anabel Montes Mier in un video postato dalla ong catalana. Ieri sono state evacuate due persone per ragioni mediche.
Anche per Open Arms i tre ministri Salvini, Trenta e Toninelli hanno firmato il divieto di ingresso in acque italiane giovedì scorso.
Le storie delle persone salvate vengono raccolte in questi giorni dalla giornalista spagnola Yolanda Alvarez della Televisión Española, che si trova a bordo di Open Arms. «Abbiamo passato 9 mesi in un centro di detenzione, subendo anche violenze sessuali», racconta una donna.
Un nigeriano di 35 anni racconta che, dopo esser fuggito alle violenze di Boko Haram, è stato costretto a lavorare gratis in Libia. «In Libia lavori e non ti pagano, non puoi essere felice, in Libia esiste ancora il commercio di schiavi», dice.
Enorme @yalvareztv con sus crónicas a bordo del @openarms_fund. Espero que pronto pueda resolverse la situación #OpenArms https://t.co/xv7WUlzL2k
— Paula Murillo Sanchis (@murillo_paula) August 4, 2019
In copertina Facebook/Sea Eye
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