Libia, violata la tregua dell’Onu: un’autobomba uccide tre funzionari Onu e due civili
Dopo nemmeno 16 ore, salta la tregua chiesta dall’Onu in Libia. Tre funzionari dell’Onu e due civili sono morti a causa di un attentato con un’autobomba a ovest di Bengasi, nella regione di Al Hawhari, vicino a un centro commerciale – dove in quel momento c’erano molte persone per lo shopping alla vigilia della Festa del Sacrificio – a poca distanza dalla sede della missione delle Nazioni Unite, l’Unsmil. L’attentato non è stato ancora rivendicato.
I tre funzionari Onu stavano, secondo le prime notizie, attraversando la zona a bordo di un convoglio.
#عاجل | مصدر عسكري: قوات #حفتر تخترق الهدنة الأممية بقصفها لـ #مطار_معيتيقة المدني وحي سكني في منطقة سوق الجمعة#العدوان_على_طرابلس
— Libya Alahrar TV – قناة ليبيا الأحرار (@libyaalahrartv) August 11, 2019
Le condanne
Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres ha immediatamente dichiarato vicinanza alle famiglie delle vittime e ha chiesto alle «autorità libiche di identificare e consegnare rapidamente alla giustizia gli autori». Guterres ha ancora una volta «invitato tutte le parti a rispettare la tregua umanitaria di Eid al Adha, e tornare al tavolo dei negoziati per perseguire il futuro pacifico che la popolazione libica merita».
Il maresciallo Khalifa Haftar aveva accettato la tregua proposta dall’Onu, in
occasione della festa del sacrificio, l’Eid al-Adha, che inizia oggi, 11 agosto. A renderlo noto il portavoce delle milizie di Haftar, il generale Ahmed al-Mismari.
Il governo libico d’intesa nazionale, che fa capo a Fayez al-Sarraj, ha condannato con forza l’attentato di ieri a Bengasi, in cui sono morti tre funzionari dell’Onu. «Il consiglio presidenziale del governo d’intesa nazionale condanna, nei termini più forti – si legge sulla pagina Facebook del Gna – l’attentato terroristico avvenuto nella zona di al Hawari, mella città di Bengasi, al passaggio del convoglio della missione degli Stati Uniti in Libia in cui sono morte tre persone e decine di altre sono rimaste ferite».
In una nota, l’Alto consiglio di Stato punta il dito contro «la forza che controlla la città di Bengasi», ovvero le truppe di Haftar, città che «in questi ultimi giorni ha visto rapimenti, uccisioni e sparizioni» come quelli di Seham Sergiwa, deputata e psicologa scomparsa il 17 luglio, e quello dell’attivista Ahmed Omar Al Kawafi, il cui corpo è stato trovato in riva al mare, «e altri atti terroristici e criminali perpetrati da chi dice di voler proteggere la città mentre attacca Tripoli con la scusa di volerne ristabilire la sicurezza».
Alla condanna si associa il governo provvisorio libico annunciando, da parte sua, l’apertura di una inchiesta da parte del suo ministero dell’Interno, e accusando Tripoli di «legami con i gruppi terroristici», entrambi, a suo giudizio, «volti a far naufragare la tregua umanitaria annunciata dall’esercito con il patrocinio dell’Onu», scrive l’Ansa.
La tregua
La tregua per Haftar, sul fronte di Tripoli, doveva scattare da ieri fino a lunedì pomeriggio. Appena due giorni fa Haftar aveva respinto l’appello al cessate il fuoco, dopo oltre 4 mesi dall’inizio dell’offensiva.
Le truppe fedeli ad Haftar sostengono la liberazione della capitale dal governo di unità nazionale guidato dal generale al-Sarraj. Fino a ora, l’esercito libico nazionale di Haftar è riuscito a conquistare solo alcuni piccoli centri nel sud della città. I detrattori dell’uomo forte della Cirenaica lo accusano di voler prendere il potere e acuire le già profonde divisioni che attraversano la Libia dalla deposizione e morte di Gheddafi nel 2011.
La battaglia per Tripoli è costata la vita a centinaia di persone, inclusi civili, secondo le stime dell’Organizzazione mondiale per la sanità. Un conflitto su cui anche l’Europa è risultata divisa. Negli ultimi mesi lo scontro maggiore è avvenuto tra Francia e Italia.
I due Paesi si sono assestati su posizioni opposte, con l’Eliseo che con il passare delle settimane ha mostrato di voler sostenere l’avanzata di Haftar verso Tripoli e con Roma impegnata, in particolare, alla protezione degli interessi economici petroliferi e a bloccare il flusso di migranti attraverso il Mediterraneo.
Cos’è la festa del sacrificio
Dal Bangladesh all’Egitto, ogni anno i musulmani ricordano la prova di fede di Abramo che sacrificò un montone dopo che Dio gli aveva chiesto di uccidere suo figlio Ismaele. Secondo le sacre scritture, Abramo fu salvato dall’intervento dell’angelo. Così, in occasione di quel sacrificio e di quel gesto di fede ogni anno i credenti dell’Islam sacrificano un montone, o una pecora, un cammello o una mucca, che vengono uccisi attraverso un preciso rituale.
In copertina Ansa/Foto di archivio
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