Cento anni fa, l’ultima volta che l’Italia andò al voto in autunno
Aprile, giugno. Maggio, giugno. Marzo, aprile. Febbraio, al più: il mese più freddo in cui il popolo italiano sia stato chiamato alle urne per eleggere un nuovo Parlamento che avrebbe quindi formato un nuovo governo: era il 2013. Ne sarebbe nato un esecutivo di grande coalizione che avrebbe portato al governo Letta. Erano tempi che oggi appaiono già così lontani. Mai, nella storia repubblicana d’Italia, gli elettori sono stati chiamati al voto in periodo autunnale.
L’ultima volta che è successo è stato esattamente 100 anni fa, nel 1919. In Italia era re Vittorio Emanuele III. Potrebbe succedere questa volta, con un Matteo Salvini che, dopo aver dato il benservito agli alleati grillini, ha fretta. Vuole andare al voto il prima possibile: «Alzate il culo e a lavorare», tuona. Il leader della Lega vuole «capitalizzare» il consenso del Carroccio: bisogna fare in fretta perché «abbiamo il mondo contro», avrebbe detto ai suoi.
Le date autunnali possibili per le prossime elezioni sono ancora tutte sul piatto: quella inizialmente circolata, del 13 ottobre, sembra troppo prematura, però, e si fa strada l’ipotesi delle urne a novembre. Questo nel caso in cui riesca l’operazione messa in campo dal Carroccio con la data del voto della mozione di sfiducia a Giuseppe Conte da fissare, i tempi istituzionali e soprattutto la spada di Damocle della manovra da approvare entro dicembre, preceduta dalla nota di aggiornamento al Def e dalle scadenze con la Commissione europea.
Le elezioni del 1919
Per immaginare gli italiani al voto in novembre, è necessario fare un salto indietro nel tempo di un secolo: era il 16 novembre 1919, ed è stata la prima volta in cui l’Italia ha votato con una legge elettorale proporzionale. Erano anche le prime elezioni del dopoguerra. Sono i tempi del “biennio rosso”, ovvero i due anni – 1919 e 1920 – caratterizzati da una serie di lotte operaie e contadine che hanno raggiunto l’apice con l’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920.
Il 1919 è l’anno in cui i cattolici, a gennaio, danno vita al Partito Popolare Italiano, il primo vero partito di ispirazione cattolica. Don Luigi Sturzo – «uno dei protagonisti della storia democratica italiana», ha detto pochi giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – ne è il fondatore e ispiratore. Ma il 1919 è anche l’anno in cui, il 23 marzo, Benito Mussolini fonda i fasci di combattimento, a Milano. I fascisti di oggi non hanno mancato di celebrare quest’anno il centenario della fondazione.
L’affluenza, a novembre del 1919, è stata del 56,58 %. Si registrò come prima forza il partito socialista italiano che ottenne 156 seggi su 508. Il partito popolare di Luigi Sturzo arrivò secondo con 100 seggi. Terzo il partito liberale di Vittorio Emanuele Orlando. Le elezioni, da un lato, segnarono la crescita dei socialisti (che triplicarono i seggi rispetto al 1913) e dei popolari, dall’altro il declino dei liberali che persero la maggioranza.
Quelle del 1919 furono anche le prime elezioni in cui si presentarono i fasci di combattimento. Benito Mussolini, Arturo Toscanini e Filippo Tommaso Marinetti furono i candidati capilista nel collegio di Milano, ma non furono eletti. Poi le cose andarono diversamente. Ma questa è un’altra storia, o forse no.
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