I senatori Pd restano spaccati, smentito pure il capogruppo Marcucci su un «nuovo governo»
Si è consumato il primo atto formale dello scontro all’interno del Pd sulla linea da tenere dopo l’apertura della crisi di governo e l’accelerazioni verso le elezioni voluta da Matteo Salvini.
Sul campo, in vista della capigruppo del Senato che dovrà caledarizzare la crisi stessa, la posizione del segretario Zingaretti, che ha dichiarato la sua preferenza per un ritorno rapido alle urne e quella di Matteo Renzi che invece ha aperto a un governo istituzionale dopo la chiusura dell’esperienza dell’esecutivo gialloverde.
Ad aprire l’assemblea è stato il capogruppo dei senatori democratici Andrea Marcucci che, secondo quanto trapela, sembra spostare l’ago della bilancia dalla parte dell’ipotesi renziana: «La presidente Casellati – ha detto Marucci – con una chiara forzatura di parte, vuole convocare l’aula domani. Gli umori ed i diktat di Salvini non sono ancora emergenza nazionale. Alla conferenza dei capigruppo, noi faremo sponda con chi ci sta, solo sulle norme e sul calendario».
«L’obiettivo di oggi – ha continuato Marcucci – è quello di arrivare ad un nuovo governo, di che natura dovrà essere, lo vedremo in seguito. La crisi dovrà essere totalmente parlamentarizzata: le comunicazioni di Conte saranno la priorità».
Ma a stretto giro arriva la replica della maggioranza zingarettiana del Pd, che, sostanzialmente, smentisce Marcucci. Quella «espressa dal capogruppo del Pd sull’obiettivo primario di andare a un nuovo governo è – secondo la linea della segreteria – da ritenere una considerazione personale e non la posizione del gruppi Pd al Senato che è chiamato a decidere unicamente sulla calendarizzazione dei lavori».
Insomma, nulla di fatto. Le posizioni sembrano rimanere distanti e nel frattempo si prende tempo. In attesa di vedere come si evolveranno le cose e, soprattutto, quali saranno i tempi della fine ufficiale del governo Conte. Poi la palla passerà al presidente Mattarella e non è da escludere che sia il proprio il Capo dello Stato, con le sue considerazioni, a far prevalere una delle due linee. Oppure una terza.
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