E se alla fine il governo non cadesse? Le colombe e l’idea di una ritirata strategica. Ma Salvini…
Non sono pochi in queste ore i parlamentari leghisti, per tacere di quelli delle altre forze di centro destra, che si interrogano con preoccupazione sulle conseguenze del blitz apparentemente fallito di Salvini. Sei giorni dopo l’avviso di sfratto il premier Conte è ancora a Palazzo Chigi, e non ha manifestato l’intenzione di dimettersi. Parlerà il 20 e il 21 alle due Camere, è vero, ma le sue comunicazioni non sono accompagnate, nell’ordine del giorno, da alcun riferimento alla mozione di sfiducia leghista. Come è noto, peraltro, l’uscita dall’aula delle opposizioni di Pd e LeU potrebbe neutralizzare quell’arma, “salvando” il premier.
E non è un caso che il ventilato ritiro dei ministri e sottosegretari leghisti sia finora restato solo una minaccia. La verità vera è che se Salvini aveva la certezza che la crisi annunciata avrebbe portato dritto a nuove elezioni, oggi quella certezza è stata oscurata da un corposo dubbio: l’ira grillina per il “tradimento” e l’interesse di PD e tanti altri a non tornare subito al voto possono concretizzarsi in una nuova maggioranza di governo? Il rischio, per Salvini, è di passare dalla sabbia del trionfale tour estivo on the beach a quella di una lunga traversata nel deserto.
E allora, con circospezione, c’è chi sta esplorando le alternative, e l’inevitabile prezzo da pagare al partner tradito. Ma davvero è pensabile una ritirata strategica del leader leghista? L’immagine muscolare e decisionista del Capitano ne sarebbe gravemente intaccata. E dopotutto la Lega è rimasta all’opposizione dal novembre 2011 al giugno 2018, ed è stato proprio in quel periodo che è nata la linea sovranista anti-élite di Salvini, che ha portato la Lega al boom del 34% alle elezioni europee.
Ora però la prospettiva è di dover passare, al culmine del consenso, dal proscenio italiano e internazionale a un periodo di tre anni e mezzo (sino al termine naturale della legislatura) contro gli ex alleati grillini rimasti al governo. Un’eternità politica, che potrebbe intaccare il credito di popolarità- oggi amplissimo – di Salvini.
Insomma, cosa fare se il blitz d’agosto dovesse davvero fallire? Esiste una via d’uscita? Forse sì, e proprio a partire dall’offerta di Salvini ieri a Di Maio in aula al Senato: ok al taglio dei parlamentari, ma a questo punto ok anche al tempo necessario per renderlo esecutivo, come peraltro discretamente consiglia lo stesso Quirinale. Vuol dire aspettare fino a metà del 2020 per andare al voto, certo: ma è ben altra cosa rispetto all’alternativa di 40 mesi, e per di più all’opposizione…
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