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Verso un governo giallorosso? I numeri e i temi di un’alleanza (forse) possibile

15 Agosto 2019 - 16:32 Redazione
Dalla Tav al reddito di cittadinanza. Gli scogli per un accordo sono tanti, ma il M5S non esclude un avvicinamento ai democratici

Le parole del ministro leghista Gian Marco Centinaio («Non chiudo le porte a nuovo dialogo con il M5S») hanno fatto aprire lo spiraglio di un nuovo governo Conte. Ma i grillini non ci stanno: «Se tradisci la mia fiducia è finita», ha detto Luigi Di Maio.

Man mano che i giorni passano, infatti, sembra farsi più solida l’ipotesi che l’Esecutivo italiano cambi colore da gialloverde a giallorosso. Ma quali sono i numeri e i temi di incontro (e scontro) di questa possibile alleanza?

No Renzi, Sì Zingaretti

Anche se continua a restar ferma, nel M5S, la linea del no a Matteo Renzi, sembra tuttavia aprirsi la strada di un’alleanza con il Pd, quello di Nicola Zingaretti. Luigi Di Maio aspetterebbe solo il via libera Davide Casaleggio.

Benestare che non è escluso che arrivi. Secondo AdnKronos, il figlio del cofondatore del Movimento e ora presidente dell’associazione Rousseau sarebbe pronto a dire sì a un’alleanza strategica con Zingaretti.

Il Pd spaccato tra il sì e il no

Nel Pd, Zingaretti sembra deciso nel suo no a un governo con il M5S (perlomeno senza passare dalla urne) e dice ai suoi di «tenersi pronti a possibili elezioni anche il 27 ottobre». Dalla sua parte Carlo Calenda. Anche Paolo Gentiloni e Marco Minniti sembrano essere vicini al momento al segretario del Pd.

Dall’altra parte, il sì a un governo con i grillini, di Matteo Renzi che in un’intervista a Repubblica ribadisce la sua posizione: «Se si va a votare a ottobre, chiunque vinca, è recessione. Una persona civile prima mette in sicurezza il Paese, che significa mettere in minoranza Salvini, poi va a votare».

Ma il fronte renziano sembra diventare sempre più folto. D’accordo con lui: Dario Franceschini, Enrico Letta, Goffredo Bettini. A loro potrebbero aggiungersi Pierluigi Bersani (LeU) e Massimo D’Alema (Articolo 1).

Identità giallorossa

Ma il vero dilemma, fatto presente anche da Mattarella, che ha messo in guardia da un governo senza una chiara identità politica, è che i due forse futuri alleati non concordino su molti temi e che finiscano per accapigliarsi come l’ex governo gialloverde. Senza contare che all’epoca era stato proprio l’ex premier dem a chiudere ai pentastellati.

I punti di contatto

Politiche a favore della famiglie e sostenibilità ambientale. Da sempre sia Pd che 5S hanno premuto su temi green e su un rafforzamento del welfare per le famiglie come avviene negli altri Paesi europei.

Ai punti in comune va ad aggiungersi anche il bio testamento, su cui entrambi i partiti hanno presentato una proposta, la legalizzazione della cannabis e il salario minimo.

Rimane incerto invece il tanto dibattuto reddito di cittadinanza criticato più volte dal Pd, ma che è un sussidio che tuttavia non si discosta eccessivamente dal reddito di inclusione targato Pd.

I punti di scontro

Diversa invece la situazione per quanto riguarda il decreto sicurezza bis, osteggiato apertamente dal Pd, ma accettato e votato dal M5S che continua, tuttavia, ad avanzare dei dubbi su alcuni punti del testo della Lega.

Sulla Tav non sembra esserci via d’uscita. Battaglia identitaria del movimento, il «no» alla linea ad alta velocità è un punto fermo di Di Maio, un’opera che dall’altra parte il Pd considera strategica.

Poi ci sono le trivellazioni in mare, fu il governo Renzi a dire sì, mentre il M5S aveva fatto una battaglia per bloccarle. Lo stesso per l’Ilva di Taranto, i grillini la volevano chiudere (senza successo), i dem hanno fatto di tutto per salvarla.

Uno degli ultimi scogli è la revoca della concessione ad Autostrade per la tragedia del ponte Morandi. Slogan che Zingaretti ha definito «infantili». Infine non è ancora chiaro cosa pensa il Pd del taglio dei parlamentari voluto dal M5S.

Da un lato i dem hanno sempre criticato l’impostazione delle riforma (e votato contro), dall’altro loro stessi proposero una revisione del numero dei senatori. Il famoso referendum del 2016 per cui crollò la testa di Renzi.

Insomma, se un accordo dovrà esserci gli ostacoli da sormontare non saranno pochi, con il rischio di mettere in piedi una maggioranza già traballante o «senza identità», per dirla con le parole di Sergio Mattarella

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