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Licenziata dopo aver protestato contro Salvini, attivista vince la causa contro il Viminale: «Discriminata per la sua nazionalità»

17 Agosto 2019 - 12:17 Emma Bubola
«Quello che leggo nelle motivazioni fornite dal Ministero è che io in ragione della mia nazionalità non posso fare bene il mio lavoro», ha detto a Open Elizabeth Arquinigo Pardo

Elizabeth Arquinigo Pardo, la ragazza che era stata licenziata in tronco dalla Questura di Milano dopo aver espresso critiche contro Matteo Salvini, ha vinto la causa contro il Ministero dell’Interno. A motivare la decisione del Tribunale di Como non è però la presunta discriminazione a sfondo politico, ma una discriminazione sulla base della nazionalità, tenuto conto «dell’infondatezza delle ragioni fornite dal Ministero che giustificano il suo licenziamento».

«Ho cercato di avere giustizia e ho lottato fino in fondo per dimostrare le difficoltà che si incontrano quando si è considerati stranieri in Italia, il fatto che questo possa anche implicare licenziamenti arbitrari», ha detto la ragazza a Open, «ma anche perché dopo il mio licenziamento ho ricevuto messaggi di persone nella mia stessa situazione, che non sono potute andare fino in fondo perché non avevano i mezzi per farlo».

Il licenziamento

Arquinigo, ventinovenne nata in Perù che vive in Italia da 19 anni, lavorava come interprete alla Questura di Milano, dove si occupava di tradurre i colloqui dei richiedenti asilo. Il suo era un contratto di collaborazione con l’agenzia europea Easo, stipulato attraverso una cooperativa che aveva ricevuto l’appalto per fornire il servizio.

Il 14 febbraio 2019 però, il datore di lavoro, come si legge nella sentenza, «le aveva comunicato l’anticipato recesso unilaterale dal contratto, invitandola a non presentarsi l’indomani al lavoro, indicazione da lei disattesa, in quanto si era recata nella Questura di Milano, ma ne era stata “allontanata, senza motivazioni, se non l’indicazione informale di una direttiva ad personam giunta in tal senso nientemeno che dal Ministero dell’Interno».

I sospetti di discriminazione a sfondo politico

La ragazza non ha potuto fare a meno di collegare l’avvenimento con la pubblicazione a novembre del suo libro Lettera agli italiani come me, in cui denuncia le discriminazione subite da coloro che in Italia vengono considerati stranieri, dalla società e dalle istituzioni.

Ma anche con il pubblico scambio di opinioni avuto a ottobre 2018 con il vicepremier Matteo Salvini, in cui la ragazza criticava il rallentamento delle procedure di ottenimento della cittadinanza in seguito all’approvazione del decreto sicurezza bis.

Convinzione rafforzata dal fatto che in concomitanza del suo licenziamento, spiega la ragazza, ai suoi colleghi è stato chiesto di firmare un documento in cui dichiaravano di non far parte di nessuna associazione, movimento o gruppo politico che possa ritenersi incompatibile con il suo ruolo o rappresentare un conflitto di interesse.

Ad Arquinigo, il documento non era mai stato fatto firmare: «Noi interpreti abbiamo un codice deontologico che ci obbliga a non diffondere informazioni sensibili, ma non ci vieta di fare attivismo e avere opinioni fuori dal luogo di lavoro», aveva spiegato la ragazza in un’intervista Open.

La sentenza

Il ministero dell’Interno ha negato qualsiasi discriminazione a sfondo politico, ma ha giustificato l’interruzione dell’incarico con un aumento, nei mesi in cui Arquinigo era stata operativa, di richieste di protezione internazionale da parte di cittadini peruviani.

Il Tribunale ha condannato questa motivazione, affermando che l’individuazione da parte della direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del ministero dell’Interno di una correlazione tra la presenza di Arquinigo in questura e l’aumento delle richieste di protezione internazionale dei suoi connazionali era approssimativa.

Nella comunicazione del Ministero non veniva infatti effettuato un confronto con le variazioni di richieste d’asilo registrate nello stesso periodo in altre città italiane o europee. Né è stato comunicato se, dopo l’allontanamento della ragazza, il numero di richieste sia diminuito.

Per questo il Tribunale ha definito l’accusa che ha portato all’interruzione dell’incarico di Arquinigo, «non solo indimostrata, ma neppure sostenibile a livello indiziario».

Ma soprattutto, si legge nella sentenza, «tale provvedimento si è basato sul sillogismo, del tutto indimostrato, che l’incremento delle domande di asilo dei cittadini peruviani era stato favorito unicamente dall’illegittimo interessamento di un’altra persona, che (…) aveva la loro medesima nazionalità». Per questo, quella condannata dai giudici è una discriminazione in base alla nazionalità, che contravviene l’art 43 co 1 D Lgs 286/1998 TU Immigrazione.

Estratto della sentenza

«Quello che leggo nelle motivazioni fornite dal Ministero è che io in ragione della mia nazionalità non posso fare bene il mio lavoro», ha detto la ragazza a Open, «Io ho letto questo, il fatto che come professionista io non sia in grado di svolgere il mio lavoro in modo neutrale, che il mio avere origini straniere potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza pubblica».

Per Arquinigo però, le motivazioni fornite dal Ministero, che il giudice ha definito «infondate» restano comunque un pretesto per coprire un rifiuto delle sue posizioni politiche.

«Non ho elementi per provarlo, ma con la questura e con Easo collaboro da agosto 2018 e mi sembra strano che solo dopo lo scambio di lettere con Salvini e la pubblicazione del libro abbiano iniziato ad avere sospetti sulla mia professionalità», ha affermato.

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