Mancano i medici, arrivano i neolaureati in ospedale: perché non è una buona notizia per i giovani dottori
Era aprile quando una notizia particolare aveva fatto storcere il naso a migliaia di specializzandi in medicina. A causa della carenza dei medici in corsia, Angelo Giustini, commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, aveva richiamato in pista professionisti ormai in pensione.
Ma come? – avevano detto a Open diversi specializzandi – invece di risolvere il problema dell’imbuto formativo che blocca le carriere dei giovani studenti, si pensa a richiamare chi ha scelto di concludere la propria carriera?
L’idea del Molise aveva comunque iniziato a farsi strada in diverse Regioni, come il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, il Lazio, la Toscana e la Puglia, che hanno tentato di risolvere il problema della scarsità delle risorse (che è poi carenza di bandi) attraverso misure cuscinetto.
Ed è proprio nel Veneto che il 14 agosto è stata diffusa una delibera tampone: per far fronte alla carenza di specialisti, la Regione di Luca Zaia ha proposto di impiegare 500 medici neolaureati con la sola abilitazione (e senza specializzazione), sia nei pronto soccorso e che nei reparti di Medicina e Geriatria. L’unica condizione è quella di aver frequentato un corso di 92 ore in aula, più due mesi di tirocinio in corsia.
Molti giovani medici, poche opportunità di carriera
«Il concetto è semplice», diceva Giustini a Open. «Prima i giovani. Ma se non ce ne sono, da dove li prendo? Li creo?». Calogero Casà, presidente dell’associazione Giovani Medici Specializzandi, aveva spiegato a Open che le cose non stavano proprio in questi termini. «Parlare di carenza di medici è un paradosso considerando la quantità di laureati che rimangono fuori dai bandi». Un modo, piuttosto, per nascondere la polvere sotto al tappeto.
«Alcune tendenze politiche vorrebbero far fronte all’emergenza formativa inquadrando i medici che non hanno completato il percorso all’interno del sistema nazionale, almeno nell’ambito della medicina generale», aveva spiegato Casà. «Ma è un altro espediente per aggirare il problema senza risolverlo in maniera strutturata»
Tornando sul tema in merito alla delibera diffusa dal Veneto, Casà ha evidenziato le contraddizioni poste in essere da un provvedimento del genere: «Sembra assurdo – ha detto a Open – ma se veramente mancano 500 specialisti, perché la Regione Veneto ha finanziato solo 2 contratti aggiuntivi in medicina d’urgenza ed emergenza nell’ultimo concorso per l’accesso alle Scuole di Specializzazione dello scorso Luglio?». Il fatto stesso di annunciare questo genere di assunzioni dimostrerebbe «che le risorse, se si vuole, si trovano».
L’Ordine sulla delibera: «Ancora più precari tra le file dei giovani medici»
«Per i giovani è un disastro». Non ha dubbi sul provvedimento Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo). A Open spiega che «è vero che i neolaureati sono attratti dalla voglia di lavorare e di inseristi nel mondo del lavoro», ma che «queste modalità non garantiscono loro né un futuro sereno né una stabile sistemazione».
Secondo Anelli, i risvolti della delibera sarebbero due: uno che riguarda strettamente gli studenti, l’altro che si ripercuote direttamente sui cittadini. Per quanto riguarda i primi, non è chiaro ancora con quale contratto sarebbero inquadrati. Quello utilizzato normalmente fa riferimento all’ordine della dirigenza medica, ma che può essere stipulato solo con certi requisiti di competenze certificate dall’Università e da nessun’altro Istituto.
Non avendo queste competenze, «questi ragazzi troverebbero una collocazione ibrida nel sistema, che non gli garantirebbe le tutele minime dei contratti». Una collocazione precaria, insomma, che li cristallizzerebbe in una carriera ancora più incerta: « Avendo solo un corso di infarinatura che dura pochi mesi», continua Anelli, «sono chiusi a qualsiasi tipo di altra possibilità lavorativa. Se vogliono passare da un reparto a un altro non possono farlo. Se vogliono cambiare ospedale, nemmeno».
Secondo Anelli, la misura non sarebbe efficace nemmeno come “tampone”, perché andrebbe solo ad ampliare le schiere dei medici che, dopo anni di pratica senza che si sia visto un bando, chiedono al Ministero una sanatoria per potersi collocare nella professione. «Bisogna intervenire con un provvedimento legislativo che consenta ai ragazzi di poter lavorare completando il percorso formativo negli ospedali. Si può fare un patto con la professione che crei un percorso formativo strutturato e non precario. Chi meglio del ministro Bussetti potrebbe risolvere la questione?»
I rischi per il cittadino: «Non facciamo dei nostri professionisti dei praticoni»
C’è poi, secondo Anelli, un problema di abbassamento della qualità. Sarebbe una soluzione drammatica anche per i cittadini. «Per i cittadini significa che il professionista diventa un praticone: colui che impara mentre svolge la professione (nei Pronto Soccorso, poi, dove ci sono le emergenze). Ma non tutti hanno la fortuna di lavorare in ospedali che garantiscono delle esperienze a tutto tondo. Gli anni di specializzazione servono a dare una visione della professione 360 gradi”.
Un tema centrale, quello della possibilità delle esperienze, che per il presidente della Federazione degli Ordini guarda ancora una volta nella direzione della «pseudoautonomia».
«È un risposta che va ancora nel segno della pseudoautonomia: io sono più bravo degli altri e riesco a fare le cose meglio, a dare le opportunità migliori. Ma con questo sistema – conclude non riesci nemmeno a far spostare i professionisti».
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