Crisi alla tedesca: che succede se la Germania usa il deficit per rilanciare l’economia? E per l’Italia cosa cambia?
L’ultimo dato disponibile è quello del 14 agosto: nel secondo trimestre del 2019 il PIL tedesco è calato dello 0,1%. La notizia non stupisce: da mesi si parla di una possibile recessione tecnica per la Germania, impressione confermata dalle stime degli analisti finanziari di Citigroup diffuse il 16 agosto. L’economia tedesca, nonostante la complessiva instabilità europea, è l’unica ad aver subito una contrazione negli ultimi tre mesi: la sua forte vocazione esportatrice rende la Germania più suscettibile degli altri Paesi UE alle tensioni del commercio mondiale. Quindi alla guerra commerciale USA-Cina, per esempio.
Il rallentamento dell’economia tedesca, in gran parte attribuibile a fattori esterni, potrebbe, però, portare il Paese a infrangere i suoi diktat interni e a condurre una politica fiscale espansiva, per compensare il calo della domanda esterna con un aumento di quella interna. Se confermata, la volontà tedesca di creare un deficit «mette in luce la crisi del modello tedesco, che purtroppo non è stato sufficientemente criticato, anzi, è stato esportato» commenta Vladimiro Giacché, economista esperto di Germania e direttore del Centro Europa Ricerche (CER) .
I fattori del rallentamento tedesco
Un calo dell’8% delle esportazioni ha colpito duramente un’economia che si basa in gran parte sul commercio con l’estero. L’ombra di una Brexit senza accordo e la guerra commerciale tra USA e Cina hanno già iniziato a colpire gli industriali tedeschi. In più, se Donald Trump aumenterà i dazi sulle importazioni di automobili come promesso, potrebbero esserci gravi ripercussioni sull’industria manifatturiera tedesca. Secondo un’indagine condotta dall’Ifo (Istituto per la Ricerca Economica) di Monaco, la fiducia delle imprese ha raggiunto in luglio il livello minimo da aprile 2013.
Le regole sul deficit
Il «Freno al deficit» tedesco, iscritto del 2009 nel codice costituzionale al paragrafo 2 dell’articolo 109, vieta al governo di registrare un deficit strutturale che superi lo 0,35% del PIL. Un altro precetto che caratterizza l’economia tedesca (fondamentale anche se non iscritto nella Costituzione) è lo «Schwartze Null» – lo «Zero Nero», una regola che stabilisce il raggiungimento del pareggio del bilancio, se non un surplus. Dal 2014 questo obiettivo è stato raggiunto per 4 anni di fila, con un surplus del 1,7% nel 2018. Questo è stato permesso dal fatto che in Germania i titoli di stato trentennali hanno raggiunto un tasso d’interesse bassissimo, addirittura negativo: gli investitori devono pagare il governo a cui stanno prestando del denaro.
Aprire i rubinetti?
L’idea di modificare questo regime è delicata in Germania, dove l’avversione al deficit attraversa lo spettro politico da sinistra a destra. «I tedeschi hanno vissuto per anni nella propaganda di un’assurdità economica: che il loro successo derivasse dal rigore sui conti. Ma 10 anni fa la Germania era entrata in crisi e ha risanato l’economia aumentando la spesa pubblica», afferma Giacché, «Sarebbe utile sbarazzarsi di questa strana idea che la salute di un’economia derivi da avere i conti in ordine. L’equilibrio dei conti è la conseguenza di un’economia che funziona». Questa settimana Angela Merkel ha ribadito che il pareggio del bilancio rimane il suo obiettivo, ma ha aggiunto «reagiremo in relazione alla situazione». Secondo il settimanale Der Spiegel, sia Merkel sia il ministro delle Finanze Olaf Scholz, dopo aver inizialmente minimizzato la situazione, sarebbero ora disposti ad aumentare il debito pubblico, rinunciando sia al surplus che al pareggio del bilancio.
Inoltre Scholz ha annunciato di voler prendere la guida del socialdemocratico SPD e, ricorda Giacché, «è più facile che venga eletto a capo SPD se promuove lui stesso questo tipo di svolta». Con le due principali formazioni politiche tedesche, CDU/CSU e SPD che per la prima volta in decenni subiscono un drastico calo di consensi, una crisi economica potrebbe essere ulteriormente destabilizzante. Se la contrazione del PIL è attribuita in gran parte a mutamenti esterni a cui la Germania assiste inerme, la convinzione che sia necessario intraprendere importanti investimenti pubblici è sempre più radicata. Nel Paese la qualità delle infrastrutture, ma anche della connessione a internet, avrebbe bisogno di essere migliorata. Investimenti infrastrutturali, per la transizione ecologica ma anche tagli alle tasse dei lavoratori più poveri potrebbero rilanciare la domanda interna e sollevare l’economia tedesca dalla sua dipendenza dalle esportazioni.
La recessione potrebbe rappresentare un’opportunità per farlo e al ministero delle Finanze pare si stiano discutendo le modalità. Anche violando il tabù dello «Zero Nero», il freno costituzionale imporrebbe che il deficit non superi i 10 miliardi di euro. Se la legge venisse sospesa, il deficit potrebbe raggiungere l’1,5% del PIL senza violare le leggi europee che limitano il debito pubblico al 60% del PIL, afferma l’economista Carsten Brzeski, intervistato da Bloomberg.
«La crisi di un modello»
«Forse sono troppo ottimista ma questa iniziativa potrebbe rappresentare un piccolo cambiamento di mentalità in una direzione più keynesiana», afferma l’economista Sergio Cesaratto, professore di Economia Politica all’Università di Siena, in un’intervista a Open, «Un piccolo segno nella direzione giusta perché in Germania debito e peccato sono la stessa parola, e questo precetto dovrebbe cambiare». Giacché lo raggiunge: «Questo tipo di svolta avrà delle conseguenze forti in Europa, è un cambiamento di paradigma, a questo punto chi intendesse produrre una politica di disavanzo finalizzato a investimenti pubblici avrebbe un argomento in più».
Secondo l’economista Luigi Guiso, professore all’Einaudi Institute for Economics and Finance (EIEF), invece, quella di intraprendere un’azione espansiva è una mossa che la Germania compie perché, a differenza di molti altri, «se lo può permettere». «Hanno le finanze pubbliche ordinate, un livello di debito contenuto e in genere loro espandono quando ne hanno bisogno, quando lo devono fare, non espandono a casaccio», afferma il professore in un’intervista a Open. Guiso sostiene comunque che un intervento espansivo tedesco gioverebbe anche all’Italia, se non come precedente per rivendicare il diritto di fare lo stesso, almeno per un diretto effetto economico: «Le prime vittime del rallentamento ciclico tedesco sono le imprese del nordest che sono fornitori dell’industria manifatturiera tedesca, e se quella non marcia non marcia neanche la nostra».
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