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Crisi di governo: perché dopo questa settimana niente sarà più come prima

19 Agosto 2019 - 07:27 Redazione
Il sentiero di guerra di una settimana destinata a segnare il corso della politica italiana. È nessuno sa cosa dirà Conte al senato

È la settimana del redde rationem per il governo giallo-verde e per capire i destini del processo innescato da Matteo Salvini. Era l’8 agosto, solo dieci giorni fa, quando il vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini ha innescato la fine – per come la conosciamo, almeno – della maggioranza M5SLega e chiesto di tornare al voto.

Una crisi di governo non certo inattesa, ma dalla tempistica che fa discutere, a Camere chiuse e dopo che, tre giorni prima, il governo aveva ottenuto la fiducia per l’approvazione del decreto sicurezza bis tanto caro proprio a Salvini. «Vi do la mia parola che niente e nessuno mi spaventa e ci spaventa. Andiamo avanti come treni», aveva detto il ministro dell’Interno quel giorno.

Il 7 agosto il voto, al Senato, sulle mozioni Tav, che mette a tabellone la spaccatura della maggioranza. Alle 18 dell’8 agosto, Matteo Salvini rende pubblica una nota in cui chiede al premier Giuseppe Conte di convocare immediatamente il parlamento «per prendere atto che non c’è più la maggioranza». E chiede, Salvini, di «restituire rapidamente la parola agli elettori», lanciando poi la sua campagna elettorale: si candiderà a premier e correrà «da solo».

Il ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, in aula al Senato durante la discussione delle mozioni sul Treno ad Alta Velocità Torino-Lione (Tav), Roma, 7 agosto 2019. ANSA/Angelo Carconi

20 agosto

Il premier Giuseppe Conte, alle 15, sarà in Senato per le comunicazioni del presidente del Consiglio sulla crisi di governo. È a questo punto che si aprono tre scenari che portano a tre esiti differenti: quello delle urne in autunno, quello dell’asse ritrovato tra grillini e leghisti e infine quello di un accordo tra M5S e Partito democratico.

Al voto in autunno

L’ultima volta è stato esattamente un secolo fa: l’Italia al voto in autunno. Un’ipotesi che potrebbe prendere corpo con questo schema: Conte, il 20 agosto, dopo le sue comunicazioni a palazzo Madama e dopo l’eventuale voto alla risoluzione contraria al governo, sale al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e rassegna le proprie dimissioni.

A questo punto il capo dello Stato deve avviare un giro di consultazioni per verificare che in Parlamento ci siano o non ci siano i numeri per un nuovo esecutivo e quindi una nuova maggioranza. Nel mentre il dimissionario governo Conte resta in carica per gli affari correnti. Con questa ipotesi, il disegno di legge di riforma costituzionale per il taglio del numero dei parlamentari salterebbe: non verrebbe messo in votazione per la quarta e ultima volta, come previsto, il 22 agosto e la riforma sarebbe cestinata.

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. ANSA/Ufficio Stampa Quirinale-Paolo Giandotti

Una volta verificato poi, eventualmente, da parte di Mattarella, l’impossibilità di risanare l’attuale maggioranza giallo-verde o di vederne nascere un’altra alternativa tra Movimento 5 Stelle e Pd, l’Italia potrebbe andare al voto tra fine ottobre e – più presumibilmente – novembre, magari accompagnata da un esecutivo di garanzia per arrivare fino a quella data.

Ipotesi amici (quasi) come prima

20 agosto, Palazzo Madama. Conte, dopo le sue comunicazioni, non attende il voto sulle risoluzioni – per non ricevere un voto di sfiducia e lasciare aperta l’ipotesi di un nuovo incarico di governo – ma sale subito al Quirinale a rassegnare le sue dimissioni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

A questo punto Mattarella potrebbe o rimandare Conte in Parlamento a chiedere la fiducia oppure accettare le dimissioni del premier e chiedere all’esecutivo di restare in carica per gli affari correnti. Quindi, far partire le consultazioni con le forze politiche.

Se però dovesse tornare in vita l’asse tra Lega e M5S, il taglio dei parlamentari potrebbe avere una chance: il voto verrebbe rimandato ma non salterebbe. Se grillini e leghisti confermassero al capo di Stato la volontà di andare avanti, con nuovi equilibri, l’esito di questa ipotesi potrebbe prendere le forme di un Conte bis o a un rimpasto, magari con più peso ai ministri leghisti per dare voce ai risultati ribaltati venuti fuori dalle elezioni europee.

Luigi Di Maio, Matteo Salvini
I vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini. ANSA/Filippo Venezia

La terza via

La trattativa tra il Movimento 5 Stelle e Partito Democratico continua. Conte, il 20 agosto, dopo le sue comunicazioni a palazzo Madama e dopo l’eventuale sfiducia, sale al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e rassegna le proprie dimissioni.

Luigi Di Maio, a destra, e Nicola Zingaretti. ANSA/Riccardo Antimiani

Ma a questo punto Mattarella deve verificare che l’ipotesi di una maggioranza alternativa sia reale ma anche, eventualmente, duratura. Da comprendere sarebbero i pesi occupati dalle forze coinvolte, ma anche chi guiderebbe il nuovo esecutivo.

I destini della riforma del numero dei parlamentari non sono, con questa ipotesi, chiari: i dem hanno fino a ora votato contro. Per venire incontro a questa battaglia di bandiera grillina, potrebbero chiedere in cambio una riforma della legge elettorale in senso proporzionale puro?

Matteo Renzi durante la trasmissione di Raiuno ‘Porta a Porta’, Roma, 20 settembre 2018. ANSA/Riccardo Antimiani

I giorni successivi

La settimana, oltre alla data del 20 agosto, è fitta di appuntamenti. Alle 11.30 del 21 agosto Giuseppe Conte è atteso anche a Montecitorio per le sue comunicazioni. Passaggio destinato a saltare se il giorno prima dovesse rimettere l’incarico a Mattarella.

Il 22 agosto, come detto, sarebbe previsto alla Camera il quarto e ultimo – definitivo – voto sulla riforma per il taglio dei parlamentari. Riforma che, dovesse andare in porto, potrebbe anche vedere, entro tre mesi, l’indizione di un referendum costituzionale di conferma o bocciatura: non è infatti stata approvata nelle votazioni precedenti con i 2/3 dei voti, ipotesi che avrebbe reso la strada del referendum non percorribile secondo quanto previsto dalla Carta.

Ma – come ripete da giorni Luigi Di Maio – il 22 agosto il voto sul taglio dei parlamentari non sarebbe possibile e verrebbe annullato, se Conte dovesse decidere di rimettere il mandato. E il 22 agosto potrebbe invece essere la data di inizio delle consultazioni. Già il giorno dopo, il 23, Mattarella potrebbe affidare l’incarico per la formazione di un nuovo esecutivo.

Un’altra data importante, infine, è quella del 26 agosto. Il premier (quale?) tra una settimana dovrà indicare all’Unione europea il nome italiano per l’incarico di commissario europeo.

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