Ocean Viking in stallo con 356 persone a bordo, l’allarme a forma di cuore: «Naufraghi faticano a mangiare»
13 giorni in mezzo al mare e un tracciato a forma di cuore. La Ocean Viking, nave impegnata in attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale gestita da Sos Mediterranèe e Medici senza frontiere, è in stallo tra Malta e Lampedusa con a bordo 356 persone, di cui quasi un terzo minori.
E invece della solita rotta a zig-zag tipica della standing by position, il comandante della nave, norvegese, ha deciso di tracciare una rotta a forma di cuore. «Non è stato pianificato a livello organizzativo, ma era solo un modo “leggero” per la nave per inviare un messaggio dopo tutti questi giorni di stallo in condizioni difficili a bordo», spiegano a Open da Sos Mediterranèe.
Il clima a bordo è «sempre più teso», testimoniano i racconti dalla nave. La nave ha «richiesto formalmente a Italia e Malta di prendere il coordinamento e assegnare alla nave un porto sicuro», dicono le due ong. Ovunque, tranne che in Libia, ha detto il capomissione Nick Romaniuk. Malta si è negata, l’Italia non risponde e le due organizzazioni stanno interessando «anche gli altri stati europei nel tentativo di trovare una soluzione tempestiva che garantisca lo sbarco in un porto sicuro per tutte le persone soccorse».
La disponibilità della Francia
Come già per la Open Arms, la Francia ha fatto sapere di essere pronta ad accogliere alcuni dei migranti che si trovano a bordo. «Ci impegniamo allo stesso livello della Open Arms per garantire che possano sbarcare al più presto le persone che si trovano su queste navi», ha detto ieri il ministro dell’Interno, Cristophe Castaner.
Abbiamo a bordo 356 sopravvissuti, 356 vite che chiedono umanità ❤️
— MediciSenzaFrontiere (@MSF_ITALIA) August 21, 2019
Abbiamo bisogno al più presto di un porto sicuro di sbarco.#OceanViking pic.twitter.com/B489bQFngr
Il numero delle persone che la Francia potrebbe accogliere sarà, dice Castaner, «proporzionale», quindi anche più delle 40 previste per i migranti sbarcati dalla nave della ong spagnola.
La cognizione del tempo
«Uomini, donne e bambini continuano a vivere in uno spazio ristretto», spiega in un video Luca Pigozzi, medico di Msf a bordo della Ocean Viking. «Perché non ci stiamo muovendo?», «Torneremo in Libia?», sono tra le principali domande che i sopravvissuti rivolgono agli operatori di Msf e Sos Mediterranèe.
La maggioranza dei sopravvissuti racconta di aver subito detenzione arbitraria, estorsioni e violenze in Libia e mostra i segni delle torture. «Ci sono anche le vittime del conflitto armato in Libia, feriti di guerra che vengono curati nella clinica a bordo», spiega Msf.
Nel mezzo del Mediterraneo «le persone stanno perdendo la cognizione del tempo, faticano perfino ad identificare gli orari per mangiare o per pregare», continua il dottor Pigozzi di Msf.
Non hanno un orologio. Le giornate trascorrono tutte uguali le une alle altre. «È difficile per loro capire ciò che sta accadendo, proviamo a spiegarlo con l’aiuto del nostro mediatore interculturale». La sera è uno dei momenti più delicati: «Riuscire a trovare un posto sul ponte dove tutti possano dormire non è facile».
«Questa situazione non è normale. E non fa parte della nostra missione, restare per giorni in mare con queste persone a bordo», aggiunge Alice, soccorritrice di Sos Mediterranèe, in un altro video. «La nostra missione è fare salvataggi. Dobbiamo far sbarcare queste persone in un porto sicuro. La nostra è una missione di emergenza, di certo non possiamo gestire questa situazione per settimane». Le persone dormono a terra ammassate. «Abbiamo un numero limitato di docce e l’acqua è limitata».
«È vergognoso oltre che disumano», dice Pigozzi. «Chiediamo al più presto un porto sicuro perché queste persone possano toccare terra e finalmente trovare una condizione di sicurezza e umanità».
Il Garante scrive ai suoi omologhi di Malta e Norvegia
Il Garante nazionale delle persone private della libertà, Mauro Palma, fa sapere in una nota di avere inviato una lettera ai suoi omologhi di Norvegia e Malta: il Parliamentary Ombudsman della Norvegia, Aage Thor Falkanger, alla Presidente del NPM norvegese, Helga Fastrup Ervik, e al Presidente del Board of Visitors for Detained Persons of Malta, Andre Camilleri – e, per conoscenza, a Malcom Evans, Presidente del Sottocomitato Onu per la prevenzione della tortura. Si tratta delle «autorità indipendenti, rispettivamente, dello Stato di bandiera della nave che ha giurisdizione sulle persone a bordo e dello Stato con il quale è insorto un conflitto di competenza sul soccorso da prestare» nel caso della Ocean Viking.
Un’iniziativa messa in campo dopo aver «registrato l’assenza della voce dei propri omologhi, i Meccanismi nazionali di prevenzione (NPM) europei ai sensi del Protocollo Onu alla Convenzione contro la tortura o altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti (Opcat)» e di fronte alla situazione della nave di Msf e Sos Med: il «verificarsi di una nuova privazione ‘de facto’ della libertà delle persone soccorse, dalla durata imprecisata».
Nella lettera il Garante nazionale li invita a un’azione comune urgente – sotto forma di una lettera, di un esposto all’Autorità giudiziaria o azioni similari – presso le rispettive Autorità nazionali per «dare avvio a iniziative coordinate tra NPM» sul «rispetto degli obblighi internazionali cui sono in egual misura vincolate».
Da oltre un anno, si legge nella nota, Palma «ha tenuto sotto attenta osservazione la questione della tutela di persone migranti dapprima soccorse, poi bloccate per giorni a bordo dell’imbarcazione che le ha tratte in salvo: lo ha fatto anche con una visita a bordo nel noto caso della nave “Ubaldo Diciotti” e con informazioni alle Procure competenti».
E questo, specifica anche dopo gli attacchi ricevuti in particolare dalla Lega, «indipendentemente da valutazioni di ordine politico o relative ai comportamenti delle persone responsabili delle operazioni». Perché «nessuna persona può rimanere in un limbo privo di diritti, a rischio di essere respinta e in condizioni materiali che ogni giorno peggiorano». Una privazione ‘de facto’ «della loro libertà personale», che «le ha implicitamente esposte al rischio di subire respingimenti. Inoltre, il suo prolungarsi, a volte per settimane, può determinare una violazione del diritto alla dignità che attiene in modo assoluto a ogni persona».
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