Tria allontana lo spettro dell’aumento dell’Iva. Siluro alla Lega: «I soldi di quota 100 per ridurre le tasse»
Giovanni Tria, uno dei pochi ministri del governo Conte a non essere tirato in ballo durante la crisi politica che si sta vivendo in questi giorni, rassicura: «L’aumento dell’Iva si può disinnescare, i conti vanno meglio del previsto».
Il ministro dell’Economia dell’esecutivo Lega-M5S, in un’intervista al Corriere, parla del suo anno al Mef, tra attacchi degli stessi partiti che l’hanno scelto e di come è possibile evitare le procedure d’infrazione.
E mentre sono in atto le trattative per formare un nuovo governo, il nome di Tria, più un tecnico che un politico, sembra l’unico ministro che potrebbe essere riconfermato senza troppi problemi.
La ricetta per evitare l’aumento dell’Iva
Sul come disinnescare le clausole di salvaguardia, inserite nella legge di Bilancio 2019 per compensare un punto percentuale in più di spesa corrente, la risposta di Tria appare molto tranquilla: «Ci sono margini di manovra. Anche a leggi vigenti, senza altre misure, il deficit per il 2020 sarebbe sostanzialmente inferiore al 2,1 % del prodotto lordo (Pil) previsto nel Documento di economia e finanza di aprile scorso. Siamo molto sotto quel livello. È il risultato di una politica di bilancio che ha permesso di portare avanti i programmi voluti dalle forze politiche, ma mantenendo i saldi di bilancio sotto controllo».
Insomma, se l’economia italiana proseguisse in questa direzione, non dovrebbero scattare le temute clausole. «A copertura di pensioni a “quota 100” e reddito di cittadinanza sono state aumentate (le clausole, ndr.), ma ho sempre pensato fosse inutile: era prevedibile che la spesa sulle due misure sarebbe stata minore del previsto. Ora si è dimostrato».
Tria fa riferimento al rapporto deficit-Pil previsto per il 2020, oggi dello 0,3% inferiore rispetto a quanto si stimasse la scorsa primavera.
Una strigliata al suo ex-governo
In maniera velata, Tria redarguisce i suoi ex compagni di esecutivo per quanto riguarda alcune dichiarazioni fatte lo scorso autunno: furono una miccia che portò all’aumento dello spread e quindi mise in difficoltà la manovra economica che si stava programmando.
L’aumento delle clausole sarebbe un rischio remoto, «non solo per i risparmi sulle due misure, anche per le maggiori entrate attese e i minori interessi sul debito. Si oscilla tra i sei e gli otto miliardi».
«Dipende da noi, se sapremo conservare la calma sui mercati e quindi uno spread fra titoli italiani e tedeschi sui livelli attuali o poco più bassi – spiega il ministro -. Ricordo che quando si delinea il quadro del bilancio in autunno, per convenzione, le proiezioni della spesa sul debito risento- no dell’andamento dello spread nelle ultime settimane prima della manovra. Quindi sarebbe utile non farlo aumentare nelle prossime settimane, come accadde l’anno scorso».
Riforma fiscale, «Quota 100» non imprescindibile
Restano comunque 15 miliardi da trovare per per la manovra economica di quest’autunno. Le aree di intervento, che Tria vede come imprescindibili per migliorare la situazione economica del Paese, riguardano principalmente una pulizia di molte voci di spesa nel bilancio e, velatamente, afferma che Quota 100 non era così utile per l’Italia.
«Stiamo lavorando su deduzioni e detrazioni. Anche lì ci sono spazi. L’obiettivo non è solo evitare gli aumenti dell’Iva, ma una riduzione fiscale in direzione della cosiddetta flat tax. Altri parlano di cuneo fiscale, ma in fondo è qualcosa di molto simile: è ridurre la pressione fiscale sui redditi medio-bassi, soprattutto salari da lavoro di- pendente».
«Io ero per ridurre subito le tasse sui redditi medio-bassi con risorse più o meno corrispondenti a “quota 100”. Ma penso sia negativo avere politiche sussultorie. Se cambiamo sempre quanto fatto dal governo venuto prima, le famiglie non sapranno più quel che può succedere e non spenderanno mai quanto viene loro in tasca».
Poi, l’economista 71enne conclude dando la sua visione del deficit: «Da un punto di vista economico per me il deficit non è un tabù. È uno strumento di politica economica, e purtroppo l’Europa lo ha dimenticato. Però è uno strumento, non un fine. Conta cosa se ne vuole fare. Ha senso per aumentare gli investimenti, ma già riusciamo solo con difficoltà a farne con gli stanziamenti già in bilancio».
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