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Chernobyl, emergono nuovi documenti “segreti” sull’incidente nucleare: gli ordini dal Cremlino

27 Agosto 2019 - 12:12 Juanne Pili
Nucleare
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Ecco come il regime dell'Unione sovietica ha insabbiato la gravità dell'incidente di Chernobyl

La gestione dell’incidente nucleare di Chernobyl il 26 aprile 1986 e le misure prese dall’apparato sovietico nei giorni e mesi successivi, a livello mediatico e burocratico, possono essere un esempio di come i complotti reali si rivelino tali in poco tempo, destando l’attenzione anche all’esterno, specialmente se a mantenere segreti scomodi deve essere un alto numero di funzionari.

Già nel maggio 1986 infatti, il direttore agli Affari sovietici di Reagan Jack Matlock giudicava la gestione di Mosca della crisi nucleare «un totale flop comunicativo». A questo si aggiunge l’incompetenza dei funzionari locali, che come rivelò il consulente scientifico Vladimir Gubarev del Comitato centrale del Pcus (Partito comunista sovietico), causarono la «perdita non necessaria di vite umane», data anche la paralisi in cui si trovarono nelle prime ore dall’incidente, restando in attesa di precise istruzioni da Mosca.

Tutto questo oggi è consultabile nel sito del National security archive, dove sono stati pubblicati alcuni documenti sovietici rimasti segreti fino al 15 agosto. Parliamo di 33 anni di documenti sul disastro nucleare di Chernobyl.

La gestione del disastro, tra negligenze, insabbiamenti e cibo contaminato

Ciò che hanno da dirci questi file desecretati è agghiacciante, non solo per quanto avvenne subito dopo l’incidente nucleare, ma anche riguardo a come venne gestita la stampa, la propaganda e la distribuzione di cibo contaminato alla popolazione.

Tra i documenti troviamo anche i protocolli del Politburo, pubblicati per la prima volta dalla giornalista ed ex deputata sovietica Alla Yaroshinskaya nel 1992 all’indomani del crollo dell’Unione sovietica. Troviamo anche frammenti del diario di un membro del Politburo (organo dirigente per Partito comunista sovietico) Vitaly Vorotnikov, dove sono riportate diverse note sulle decisioni prese dai massimi dirigenti di allora.

Possiamo trovare diverse testimonianze riguardo alla scarsa perizia e alle carenze nella costruzione della centrale nucleare, sui ritardi nel far evacuare la popolazione locale, nonostante già dalle prime ore fosse possibile avere un’idea chiara dell’entità del disastro e dei pericoli di contaminazione da radiazione.

Colpisce quanto riportato da Yaroshinskaya sul trattamento del cibo contaminato da distribuire alla popolazione. Secondo diverse risoluzioni del Politburo si sarebbe scoperto che la carne poteva essere lavorata eliminando stomaci e linfonodi, questa poi avrebbe dovuto essere distribuita con una proporzione 1:10 assieme alla carne normale, sotto forma di salsicce e altre carni lavorate.

«Queste disposizioni hanno creato le condizioni per una accresciuta mortalità – afferma in una nota il procuratore generale sovietico V. I. Andreyev – una maggiore incidenza di formazioni maligne, un numero maggiore di deformazioni. Per 1,5 milioni di persone – compresi 160 mila bambini sotto i 7 anni – le tiroidi sono state esposte a dosi radioattive di 30.000 millirem nell’87% degli adulti e nel 48% dei bambini».

Parliamo di disposizioni risalenti ai giorni successivi all’incidente. A questo si aggiungono controlli sulla stampa, vari tentativi di insabbiamento e il pedinamento dei visitatori stranieri.

Si vede così un sistema burocratico che sembrava illudersi di cambiare la realtà tramite direttive, come quando decisero di approvare nuovi livelli accettabili di radiazioni, 10 volte superiori ai precedenti, fino ad ammetterne – in casi speciali – anche 50 volte più alti.

Foto di copertina: Max pixel/Chernobyl Pripyat Abandoned Gasmask.

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