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Omicidio Cerciello, gli ultimi sviluppi dal Ris. La foto di Natale: «Bendato perché dava testate al muro»

27 Agosto 2019 - 13:56 Angela Gennaro
Venerdì le analisi degli indumenti del vicebrigadiere e del collega Varriale. Intanto emergono nuovi dettagli sulla foto del ragazzo americano bendato in caserma

Le indagini sulla morte del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso a Roma, vicino a piazza Cavour, nella notte del 26 luglio scorso e per la cui morte sono in carcere, a Regina Coeli, i due ventenni americani Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth, proseguono.

Venerdì 30 agosto, presso il Ris di Roma, si procederà ad analizzare gli indumenti repertati del carabiniere e del suo collega Andrea Varriale, presente in via Federico Cesi al momento della aggressione: aveva riportato sei giorni di prognosi per la colluttazione con Natale. «In quella sede potremo, con molta probabilità, capire da quale posizione siano stati inferti i fendenti», spiega l’avvocato Massimo Ferrandino, legale della moglie del vicebrigadiere. «Gli inquirenti stanno ultimando di puntellare in maniera precisa e scrupolosa elementi che saranno molto utili nella futura fase processuale».

Elder è accusato di aver inferto le 11 coltellate che hanno causato la morte di Cerciello Rega, mentre Natale di concorso in omicidio. Sia i difensori di Christian Gabriel Natale Hjorth – prima – sia poi i legali di Finnegan Lee Elder hanno depositato un mese fa il ricorso al Tribunale del Riesame: la data dell’udienza non è ancora stata fissata ed è attesa nei prossimi giorni.

La foto di Natale bendato

Non doveva essere pubblicata, ma era riservata a una chat WhatsApp di soli carabinieri, la foto in cui appare Christian Gabriel Natale Hjorth con la bandana sugli occhi e le mani legate in una stanza della caserma romana di via In Selci durante i primi interrogatori dei due ragazzi a poche ore dall’omicidio. È quanto sostiene in una memoria difensiva – consegnata oggi ai pm di Roma dall’avvocato Andrea Falcetta – il militare che ha scattato la foto. Il legale chiede l’interrogatorio del suo assistito, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio.

Sempre secondo la memoria, a diffondere la foto sarebbe stato invece un altro militare, che ne sarebbe venuto in possesso pur non appartenendo al gruppo WhatsApp, scrive Ansa. Nella memoria, il militare – un maresciallo della Compagnia carabinieri Roma centro, amico di Rega – sottolinea di aver appreso dell’omicidio intorno alle 5.40 del 27 luglio dalla telefonata di un collega.

Aggiunge di aver partecipato alle ricerche dei responsabili, su ordine del proprio comandante di Compagnia, e spiega di come «a caldo» si fosse diffusa la falsa notizia che gli aggressori fossero due magrebini, pregiudicati per droga: la genesi di quella notizia circolata nelle prime ore e falsa sarebbe nella testimonianza a caldo del collega di Cerciello, Varriale.

Il maresciallo indagato riferisce anche di come, dai minuti successivi alla morte di Cerciello, «centinaia di messaggi e di foto di pregiudicati» erano state scambiate in un gruppo WhatsApp composto da 18 carabinieri, tra cui lui stesso, tutti con incarichi operativi, di varie regioni italiane.

Obiettivo: aiutare le indagini, fornendo gli identikit di spacciatori, scambiando dati sensibili riguardanti i possibili sospettati (ritenuti ancora di origine magrebina), aggiornarsi reciprocamente sugli sviluppi delle indagini.

Secondo la versione del maresciallo indagato, quando i due americani sono poi stati arrestati, la notizia è stata immediatamente condivisa sulla chat. Il maresciallo racconta anche di essere stato tra coloro che, insieme ad altri militari, ha condotto i due americani nella caserma di via In Selci.

E racconta di aver riportato anche delle ferite al volto perché colpito dalle testate di uno dei due giovani: proprio Natale, che, secondo la ricostruzione del maresciallo, avrebbe continuato a dare testate anche in caserma. Per questo insomma il ragazzo sarebbe stato bendato – non dal sottufficiale, ma da un altro carabiniere – con l’approvazione dei due ufficiali presenti: un legittimo e proporzionato utilizzo di «strumenti di contenimento» per evitare che il giovane facesse male agli altri e a se stesso, dice.

Nella memoria difensiva il maresciallo parla poi dell’interrogatorio del fermato che, «si svolse con ogni garanzia di legge». Nel frattempo il giovane si era calmato e «già da tempo era stato liberato dalla benda».

Prima, però, il maresciallo – racconta – aveva scattato la foto per la quale è indagato, condividendola nella chat («sapendola riservata unicamente a Carabinieri»), sia per «rassicurare tutti» che i due erano stati arrestati e per «far notare che l’informazione inizialmente fornita dal partner di Mario (sulla nazionalità degli aggressori – ndr) era totalmente inesatta».

La foto, poi, sostiene il maresciallo, è stata «inopinatamente consegnata alla stampa da altro Carabiniere, quasi certamente non partecipante alla chat, che sarebbe già stato individuato dai vertici dell’Arma».

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