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C’è chi dice no. Calenda guida il gruppo dei nuovi #senzadime e annuncia l’addio al Pd

28 Agosto 2019 - 13:12 Maria Pia Mazza
«Lavorerò per costruire una casa per chi non si sente rappresentato da questo rapporto con i 5 stelle che nasce male», dice l’ex titolare del Mise

Dopo settimane di annunci, battibecchi e ultimatum, l’ex ministro del Mise Carlo Calenda ha formalmente rassegnato le dimissioni dal Partito Democratico, in aperto contrasto con la decisone dei vertici del partito di aprire una trattativa per la formazione di un governo con il Movimento Cinque Stelle. 

La lettera, inviata al segretario dem Nicola Zingaretti e a Paolo Gentiloni, è stata letta in un video dallo stesso Calenda, che nella mattinata aveva preannunciato ai microfoni di Radio Capital la sua intenzione di formare un nuovo partito.

La lettera di dimissioni di Calenda

Caro Nicola, caro Paolo, 


vi prego di voler accettare le mie dimissioni dalla direzione nazionale del Partito Democratico. È una decisione difficile e sofferta. Nell’ultimo anno e mezzo ho sentito profondamente l’appartenenza a un partito che, per quanto diviso e disorganizzato, consideravo l’ultimo baluardo del riformismo in Italia. 


Per questo mi sono iscritto al Pd all’indomani della sconfitta più pesante mai subita dal centrosinistra. In questi mesi ho cercato di dare in tutti i modi un contributo di idee e di iniziativa politica. Insieme ci siamo battuti alle elezioni di maggio con coraggio e coesione, raggiungendo un risultato non scontato. È stata un’esperienza entusiasmante. Ho scoperto la tenacia di una comunità di elettori e militanti pronti a combattere per lo stato di diritto e per la permanenza dell’Italia tra i grandi Paesi europei, nonostante tutto e, spesso, nonostante il partito.

Dal giorno della mia iscrizione ho chiarito che non sarei rimasto nel partito in caso di un accordo con il M5s. La ragione è semplice: penso che in democrazia si possano e talvolta si debbano fare accordi con chi ha idee diverse, ma mai con chi ha valori opposti. Questo è il caso del M5s. Le ragioni le abbiamo spiegate ai nostri elettori talmente tante volte che non vale la pena ripeterle qui. 

Non saranno cinque o dieci generici punti a far mutare natura a chi è nato per smantellare la democrazia rappresentativa, cavalcando le peggiori pulsioni politiche cialtronesche di questo Paese. Sapete bene che non abbiamo nulla in comune con Grillo, Casaleggio e Di Maio. Ed è significativo che il negoziato non abbia neanche sfiorato i punti più controversi: dall’Ilva alla Tav, da Alitalia ai navigator. Un programma nato su omissioni di comodo non è un programma, è una scusa. 


Eviterò di commentare la decisione di cedere al diktat del M5S su Conte. In fondo esiste una perversa coerenza nella scelta di questo nome per guidare un Governo nato dal trasformismo. Nelle ultime ore siamo arrivati persino ad accettare un giudizio sull’accordo di Governo da una piattaforma digitale privata che abbiamo sempre giustamente considerato eversiva e antidemocratica.


Nell’ultimo anno sono stato molte volte in disaccordo con le decisioni del Partito, ma ho sempre rispettato il volere della maggioranza. Questo caso è differente. Stringendo l’alleanza con il M5S, il Pd rinuncia a combattere per le sue idee e i suoi valori. E questo non posso accettarlo.


Fino a qualche giorno fa ero solo uno dei tanti a pensarla in questo modo. Dirigenti, parlamentari, leader passati e presenti, hanno reiterato per molto tempo la stessa promessa: senza di me, mai con i 5S! Fino a trenta giorni fa, quando la crisi del Governo Conte era già manifesta. Nella direzione del 26 luglio abbiamo votato all’unanimità la relazione del Segretario che indicava chiaramente nelle elezioni l’unico percorso da seguire in caso di caduta dell’Esecutivo. 


Cito le tue parole Nicola: “confermo che nel caso si arrivasse a una crisi di governo la nostra posizione era, è e sarà sempre la stessa: di fronte a una crisi di queste proporzioni la via maestra sono le elezioni anticipate, non esiste alcuna ipotesi di alleanza con i 5S”.
Persino nel paese delle amnesie di comodo e del trasformismo fa impressione pensare che quella decisione della direzione sia stata archiviata, poche ore dopo l’apertura informale della crisi di Governo, con un’intervista che ha poi determinato una precipitosa inversione di rotta di tutta la nostra leadership. 


Come può un partito privo di coerenza, processi decisionali effettivi e rispetto per le determinazioni assunte dai propri organi dirsi davvero tale? Il Pd può trovare una momentanea unità sulla base di una convergenza di interessi individuali, ma continua a essere più interessato ai regolamenti di conti che a combattere contro i suoi avversari. Per questo non si riesce a far stare seduti nella stessa stanza i leader delle varie correnti.


Mi domando come possiate pensare di affrontare un Governo con i 5S, in un momento così difficile per tutto l’Occidente, con un partito già sostanzialmente in pezzi e pronto a esplodere in ogni istante al manifestarsi di convenienze personali. E del resto veleni, accuse, veline e tentativi di delegittimazione non sono mancati anche durante la delicatissima trattativa per la formazione del Governo. Il combinato disposto della debolezza del Pd e delle profonde differenze con i 5S non porterà nulla di buono all’Italia e al partito.


Ma non è solo per ragione di coerenza o di serietà che avremmo dovuto scegliere la strada delle elezioni. Dare vita in questo modo a un Governo con Grillo e Casaleggio vuol dire rinunciare a fare politica. I progressisti vengono sconfitti in tutto il mondo perché negli ultimi trent’anni non hanno visto il prodursi di una frattura profondissima tra progresso e società. Il nostro futuro dipende dalla capacità di capire cosa è accaduto e proporre una visione e un progetto adatto ai tempi. Da qui non si scappa e non si può scappare.


Rifugiarsi in un confortevole quanto generico antifascismo per nascondere la mancanza di pensiero, la spinta all’autopreservazione e la paura di perdere, è una scorciatoia che non servirà a battere la destra. Al contrario, ne accrescerà la forza.
Senza dubbio l’apertura ai 5S ha spiazzato Salvini costringendolo ad una precipitosa ritirata. Ma è stata solo una “vittoria di Pirro” ottenuta ad un prezzo esorbitante. Abbiamo rimesso al centro della scena il M5S – che infatti sta già ricrescendo nei sondaggi – e confermato nei cittadini l’idea che siamo pronti a tutto pur di ritornare al Governo.


C’è un errore profondo che la diffusa soddisfazione, anche di una parte della nostra base, per questo accordo nasconde. E’ il pensiero che il nemico da battere sia sempre una persona. Un errore già commesso con Berlusconi. Salvini è un contenitore vuoto che si riempie delle paure e delle inquietudini degli italiani. Finché non ci occuperemo del contenuto non torneremo a vincere. E quella che abbiamo intrapreso non è la strada giusta. Chi governa viene punito anche se governa bene, lo sappiamo per esperienza recente. Come potete sperare che un esecutivo con i 5S non produrrà un’ulteriore perdita di consenso?


Spero di sbagliare, per il bene del paese e del Partito, e nel caso sarò felice di ammetterlo. Sarà certamente un sollievo per me e per tanti nostri elettori vedere colleghi di partito e dei Governi passati prendere il posto dei ministri leghisti. Un sollievo momentaneo purtroppo. Il punto politico rimarrà: in che modo una comunità avvelenata dalla convinzione di non poter vincere, in primo luogo proprio dai leader che dovrebbero guidarla e motivarla, potrà ritrovare la strada per la vittoria? 


Il confronto con i sovranisti è appena alle prime battute, lo stiamo iniziando con una fuga disordinata e disonorevole.
Si fa poi nuovamente largo nella “classe dirigente” di questo paese – deep state, sindacati, associazioni industriali etc – l’idea che si debbano preservare i cittadini italiani da loro stessi. Ripetiamo gli errori che hanno provocato la crisi italiana. Stessa attitudine mostrano i nostri partner europei, che non da oggi considerano l’Italia un fastidioso problema da tenere sotto controllo. 

Ma tentare di difendere la democrazia dalla democrazia conduce solo al populismo e al discredito delle istituzioni democratiche. Gli italiani devono poter scegliere e poi confrontarsi con gli effetti delle loro scelte. Senza consapevolezza e responsabilizzazione non smonteremo gli alibi di cui i sovranisti si nutrono. Le elezioni sarebbero state una sfida difficile. Un Governo di destra appariva senz’altro l’esito più probabile. Più probabile, ma non certo. 

Abbiamo visto in altri paesi europei come la vittoria della destra, data per certa nei sondaggi sia stata poi smentita nelle urne. Sarebbe stata una bella battaglia. Avremmo chiamato alla mobilitazione l’Italia seria, quella che lavora, produce, studia e fatica. Da quella sfida saremmo usciti comunque più forti e coesi.

So che condividete queste riflessioni. Ne abbiamo parlato tante volte. E comprendo le condizioni difficilissime in cui vi siete trovati ad agire. Anche per questa ragione sono rimasto in silenzio fino all’apertura delle consultazioni. Ma non posso far finta di non vedere la responsabilità che vi siete assunti rinunciando a guidare il partito nella direzione che ritenevate giusta per paura di perderlo.

Lascio una dirigenza di cui non mi sento più parte, non una comunità che sono orgoglioso di rappresentare. Le 280.000 persone che mi hanno accordato il loro voto di preferenza alle elezioni europee sapevano perfettamente come mi sarei comportato in caso di accordo con i 5S. A loro devo innanzitutto coerenza.

Lavorerò in Europa nel gruppo SeD, mentre in Italia rafforzerò SiamoEuropei per dare una casa a chi vuole produrre idee concrete per una democrazia liberal-progressista adatta a tempi più duri e non ha paura del confronto con i sovranisti. Cercherò di mobilitare forze nuove.

La mancanza di decoro generalizzata degli attori di questa crisi dimostra chiaramente che c’è l’urgenza di chiamare all’impegno una nuova classe dirigente. Le elezioni arriveranno. Le avete solo spinte più in là di qualche metro. Quando sarete pronti a lottare ci troveremo di nuovo dalla stessa parte.


Con amicizia

Il pre-annuncio di uscita dal Partito Democratico

«Sarò coerente: dal primo giorno in cui mi sono iscritto al Pd ho detto che non sarei rimasto se ci fosse stato un accordo con i Cinque Stelle». È con queste parole che l’europarlamentare Pd Carlo Calenda ha pre-annunciato l’addio al Partito Democratico nella mattinata del 28 agosto.

Calenda, da giorni si era schierato in modo intransigente contro l’alleanza con i pentastellati, richiedendo su Twitter  al segretario dem Nicola Zingaretti e all’ex presidente del Consiglio Pd Paolo Gentiloni su Twitter di abbandonare il tavolo dell’accordo. «Dopo tutte le umiliazioni che ci siamo fatti infliggere. Dopo Conte, dopo Di Maio ora anche Rousseau! #basta non potete consentire la distruzione di ogni residua reputazione del @pdnetwork», aveva scritto solo ieri Calenda.

E nella mattinata l’eurodeputato Pd, ai microfoni di Circo Massimo su Radio Capital, ha spiegato: «Uno può fare accordi con chi ha idee diverse ma non con chi ha valori diversi, ma il Pd si rende conto che i 5 stelle sottoporranno l’intesa alla piattaforma Rousseau?». 

«Noi dobbiamo rimanere appesi al voto di una piattaforma privata che abbiamo sempre considerato un’aberrazione della democrazia? Recuperiamo la schiena dritta, perché dobbiamo correre sbavanti dietro ai 5 stelle?», ha incalzato l’ex titolare del Mise. 

Calenda ha poi annunciato la creazione di un nuovo partito, chiamando a raccolta tutti i dem delusi dall’accordo raggiunto tra Pd e M5s, anche se non è ancora chiaro se si tratti della prosecuzione del progetto “Siamo Europei” o di una nuova realtà politica. Certo è che non ci saranno né il membri del PD attivi nelle trattative con i pentastellati, né Matteo Renzi che, secondo Calenda, «vuole tenere sotto scacco il Pd, delegittimare Zingaretti e ripresentarsi alle elezioni». 

Il nuovo partito di Calenda e le elezioni anticipate

«Lavorerò per costruire una casa per chi non si sente rappresentato da questo rapporto con i 5 stelle che nasce male – ha spiegato l’ex titolare del Mise – Quando il Pd avrà di nuovo voglia di combattere spero di ritrovare alcune persone sulla strada. Credo che la politica italiana abbia fallito perché non ha mai dimostrato di essere coerente. Io non ho intenzione di fare lo stesso errore». 

Infine, Calenda ha rilanciato l’opzione del voto anticipato: «In democrazia funziona così, recuperi il consenso, tiri fuori delle idee. Il centrosinistra deve fare una riflessione culturale, oggi questo manca. Trovare un posto al governo non è fare politica, è autopreservarsi». 

I delusi “noti” dall’accordo M5s-Pd

Tra i delusi dall’accordo raggiunto dal Pd con il M5s spicca la giornalista Federica Angeli, che ieri aveva contestato ai dem l’alleanza con i pentastellati, “benedetta” da un tweet del presidente statunitense Trump, sostenendo che il M5s non sia poi così diverso dalla Lega di Salvini.

A unirsi al coro dei delusi c’è anche l’attivista dem Andrea Cerri: «Chi come me aveva votato il PD per contrastare tutto quello che il M5S aveva portato sulla scena pubblica nazionale: fake news, odio sociale, azzeramento di studio e competenza; oggi può solo strappare la tessera e sperare nella nascita di un qualcosa di diverso. #senzadime».

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