Festival di Venezia, la giuria spaccata sulle quote rosa. E il direttore “assolve” Polanski
Prima ancora che la Mostra del Cinema di Venezia 76 avesse inizio, già si parlava del numero relativamente basso di registe donne selezionate e della decisione, giudicata controversa nell’epoca del #metoo, di includere il tanto volte ospitate regista Roman Polanski, condannato per aver violentato, nel 1978, un’adolescente di 13 anni.
«Come Caravaggio»
«La storia dell’arte è ricca di artisti che hanno commesso crimini ma le cui opere abbiamo continuato ad ammirare. Lo stesso vale per Polanski», ha dichiarato Alberto Barbera, direttore del festival all’ultimo anno del suo mandato, difendendo la sua decisione di includere nel festival il film l’Ufficiale e la spia, del regista franco-polacco.
«Nella mia modesta opinione è uno degli ultimi maestri del cinema europeo. Non possiamo aspettare 200 anni per decidere se i suoi film sono grandi o condannati all’oblio», ha aggiunto Barbera che ha voluto precisare che non essendo un giudice di tribunale, è semplicemente chiamato ad valutare il merito estetico di un’opera.
Quote rosa
Botta e risposta tra Barbera e Lucrecia Martel, presidente della giuria internazionale. Commentando la presenza di sole due donne tra i 21 registi selezionati per la mostra, per Martel il sistema delle quote, per quanto imperfetto, «è l’unico che può garantire l’inclusione delle donne e garantire loro le posizioni che le spettano».
«Chiedo al Sig. Barbera – ha continuato Martel – «di immaginare una situazione in cui abbiamo 50/50 uomini e donne. La qualità dei film sarebbe inferiore? O staremmo cambiando così l’industria per il meglio?». Barbera non è convinto: difficile pensare a una Mostra dove metà dei film sono di registi donne visto che soltanto il 23 percento dei film presentati quest’anno non portavano il nome di un uomo.
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