L’Africa è in fiamme, più dell’Amazzonia: 10.000 incendi tra Angola e Congo
Gli occhi del mondo sono puntati sull’Amazzonia che brucia. Intanto, in Africa, almeno il 10% dei fuochi appiccati dai contadini che usano la tecnica del debbio, ovvero il taglia e brucia, sono diventati incontrollabili: quest’estate più di 10.000 incendi stanno distruggendo l’immensa foresta pluviale che attraversa l’Angola, lo Zambia e il sud della Repubblica democratica del Congo. Gli incendi in Brasile, in confronto, sono “appena” 2.127.
Agricoltura ancestrale e cambiamento climatico
Le terre arse nel continente africano rappresentano quasi il 70% dell’area bruciata del mondo. La causa principale è riconducibile a pratiche agricole e zootecniche primordiali. Contadini e pastori bruciano la vegetazione per ripulire e fertilizzare savana e foreste. Una tecnica antica che, in Costa d’Avorio ad esempio, ha portato alla perdita di tutta la parte boschiva al centro del Paese.
Lo sviluppo dell’agricoltura africana, mai avvenuto, consegna il settore primario alla semplice sussistenza delle persone: dalla mattina alla sera, uomini e donne con solo una zappa come strumento, rassodano la terra, piantano e raccolgono. Dopodiché, prima che inizi la stagione delle piogge, i campi vengono bruciati affinché la cenere fertilizzi il terreno privato dei nutrienti.
Un circolo vizioso dal quale non si riesce a uscire. Bruciare è più economico di qualsiasi altra soluzione per ripristinare i campi. E poi c’è il problema del cambiamento climatico: disastri ambientali e periodi di siccità più frequenti stanno rosicando la disponibilità di terre fertili.
Per questo subentra il bisogno di incendiare le foreste, per avere nuovi spazi coltivabili. Ma il disfarsi delle aree boschive e l’anidride carbonica liberata nell’atmosfera non fanno altro che accelerare quel cambiamento climatico di cui tanto si discute e poco si fa. Un circolo vizioso, appunto.
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