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Alan Kurdi, la ministra Trenta firma il divieto di ingresso: «Ma pronti a intervenire per tutelare i minori»

01 Settembre 2019 - 12:55 Redazione
Nel frattempo non si fermano gli sbarchi autonomi: quattro persone sono arrivate nella notte a Linosa. 64 hanno raggiunto in mattinata le coste del Sulcis, in Sardegna

La nave Alan Kurdi – della ong tedesca Sea Eye – ha salvato 13 persone nel Mediterraneo centrale al mattino del 31 agosto. Otto di loro sono minorenni: si trovavano tutti a bordo di un piccolo barchino in legno, spiega la ong tedesca. Il salvataggio, si legge su Twitter, è avvenuta in zona Sar (search and rescue, ricerca e soccorso) maltese.

Qualcosa è cambiato e sta cambiando, e l’accelerata è sempre più visibile. Con una nota stampa, nella tarda mattinata di domenica 1 settembre, il ministero della Difesa guidato da Elisabetta Trenta fa sapere che «in merito al divieto di transito e sosta nelle acque territoriali italiane imposto alla nave Alan kurdi si rileva che è necessario, nel più breve tempo possibile, portare assistenza a minori imbarcati e a tutte le persone bisognevoli di qualsivoglia forma di intervento nel rispetto, e per la salvaguardia, della vita umana». La Difesa «si rende immediatamente disponibile allo scopo»

Divieto firmato, come diffuso dal ministero dell’Interno di Matteo Salvini, dal titolare del Viminale e controfirmato dalla stessa Trenta insieme al suo collega 5 Stelle alle Infrastrutture e Trasporti Danilo Toninelli ai sensi del decreto sicurezza bis.

La firma del ministro dell’Interno Matteo Salvini per il «divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque territoriali italiane» è arrivata in serata, come riportano fonti del Viminale. Il provvedimento, aggiungono dal ministero, era stato inviato ai ministri Trenta e Toninelli che hanno appunto controfirmato al mattino successivo.

Sbarchi autonomi

Nel frattempo non si fermano gli sbarchi autonomi: quattro migranti, probabilmente tunisini, sono stati sorpresi dai carabinieri, nella notte del 31 agosto sulla costa di Linosa (Ag). Non è stata rintracciata alcuna imbarcazione e i migranti non avrebbero spiegato come sono arrivati. I quattro sono stati trasferiti a Lampedusa con una motovedetta della Guardia costiera e portati nell’hotspot di contrada Imbriacola.

Massiccio, invece, un altro arrivo di migranti, questa volta lungo le coste del Sulcis, nel sud Sardegna, complici le favorevoli condizioni meteo marine. Ne sono approdati complessivamente 46, tutti di nazionalità algerina. I primi barchini hanno raggiunto la spiaggia di Porto Pino, nel comune di Sant’Anna Arresi, intorno alle 7 di ieri.

Un cittadino ha visto aggirarsi il gruppo di migranti e ha chiamato i carabinieri. Sul posto sono arrivati i militari della compagnia di Carbonia che ne hanno bloccati 33, tutti maschi, maggiorenni e in buone condizione di salute.

Alle 8.45 il secondo sbarco, questa volta nel porticciolo di Sant’Antioco, dove i carabinieri hanno fermato altri 13 algerini. Dopo le visite mediche e le operazioni di identificazione, tutti verranno trasferiti nel centro di accoglienza di Monastir.

Le ong ancora in mare

Oltre alla Alan Kurdi, restano ancora senza un porto sicuro di approdo e di sbarco, e con condizioni igieniche e organizzative sempre più deteriorate a bordo, le due navi umanitarie Eleonore, della ong tedesca Lifeline, e Mare Jonio, della ong italiana Mediterranea Saving Humans. Entrambe sono state raggiunte dal divieto di ingresso in acque territoriali italiane firmato da Matteo Salvini e controfirmato da Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta.

«È il terzo giorno che ci bloccano in mare», scrive Mediterranea su Facebook. «Siamo sempre più preoccupati per le condizioni psicologiche dei sopravvissuti, i ventotto uomini e le sei donne che sono rimasti a bordo con noi». In 64, infatti – tra bambini, donne e persone fragili – sono stati sbarcati, trasbordati su una motovedetta della guardia costiera italiana ormai quasi 48 ore fa e arrivati a Lampedusa.

«Hanno già passato l’inferno: quanto possono reggere ancora, bloccati in mezzo al mare?», dice ancora la ong italiana. «In ogni loro racconto, man mano che passano le ore, emergono dettagli che lasciano senza fiato. C’è chi ti fa toccare le cicatrici delle torture: “Senti, senti qui”. C’è chi ti racconta che in Libia ha passato due anni da schiavo. Le violenze sessuali. Le botte con il calcio del fucile. Le frustate, la corrente elettrica. Tutto il campionario dell’orrore».

Ma l’incubo non è finito: «siamo ancora qui. In mezzo a quel mare che ha rischiato di inghiottirli. L’equipaggio sta facendo tutto il possibile – e ci stiamo attrezzando per l’impossibile – per cercare di rassicurarli e tranquillizzarli». La nave ha ancora acqua da bere ma, a causa di un guasto, non ha acqua per permettere alle persone di lavarsi.

«Ma quanto ancora può durare? Quanto si può tirare la corda della resistenza di un essere umano, prima che si spezzi? E quando si spezza, cosa succederà?»

Non va meglio a bordo della Eleonore, dove le persone, più di 100, al loro quinto giorno in mare, «sempre più stremate» su una nave lunga circa 20m e larga 5m. «Data la scarsità d’acqua, le persone hanno 120 secondi a testa per lavarsi».

In copertina foto / Sea Eye

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