«A casa nostra»: storia di Abdoulaziz, il ragazzo che ama leggere, e della coppia italiana che lo ha accolto – Il video
«Sei mesi. Solo sei mesi? No, ma noi vogliamo già prolungare. Abdoulaziz può stare qui quando vuole: non riesco più a immaginarmi questa casa senza di lui». Massimo è il più esplicito, e a volte si commuove anche un po’. Sua moglie, Maria Grazia, all’inizio aveva un po’ paura e non lo nega: «Il timore normalissimo di avere in casa una persona che non conosci». Timore scomparso praticamente a prima vista, quando a fine maggio Abdoulaziz, 21enne originario del Gambia e titolare di diritto d’asilo in Italia, ha cominciato a vivere a casa loro.
«L’idea è nata perché avevano una stanza vuota da quando nostro figlio Valerio è andato a vivere per conto suo. C’era spazio, sapevamo che c’erano persone che avevano bisogno e abbiamo preso la decisione. Era una cosa che desideravo: ho preso l’indirizzo, ho approfondito, abbiamo fatto le interviste con Refugees Welcome e ora Abdoulaziz è entrato a far parte della nostra casa e della nostra famiglia», racconta Maria Grazia.
Refugees Welcome è una onlus che fa parte del network europeo Refugees Welcome International, fondato a Berlino nel 2014 e ora attivo in 15 Paesi. Si occupa di politiche dell’accoglienza e dell’inclusione sociale: oggi fa parte di un progetto partito in alcune città – inclusa Roma – per favorire l’accoglienza in famiglia di rifugiati.
La vita quotidiana
«Al mattino è il primo ad alzarsi», racconta Massimo indicando Abdoulaziz, che studia alle superiori e fa il servizio civile in una realtà che aiuta le persone disabili. «Anche il sabato e la domenica. Facciamo colazione tutti insieme, diamo una sistemata alla casa e poi andiamo al lavoro. Al ritorno, chi arriva prima aspetta gli altri e in genere ceniamo tutti insieme. Per nostro figlio Valerio è come un fratello minore».
«Eravamo evidentemente predisposti a un progetto di accoglienza del genere», aggiunge Maria Grazia. Ma la molla «ce l’ha data proprio questa negatività imperante nei confronti dei migranti».
Abdoulaziz racconta di essere stato accolto come un nipote, un figlio. «Anche da nonna Teresa», sorride. «Sto cercando di coinvolgere i nostri conoscenti a fare la stessa scelta», chiosa Massimo. «Qualcuno c’è….». Nessuno, tra famigliari e amici, «si è mostrato ostile a questa scelta, anzi», dice Maria Grazia.
«Mio papà a 16 anni, figlio di contadini, ha lasciato la Puglia per Roma. È partito con un asciugamano e i soldi del biglietto di sola andata. Ha dormito per terra alla stazione Termini. Lo spostamento dei popoli fa parte del mondo: aiutare una persona è quindi naturale. Se fossi costretta, anche io mi sposterei: magari sarò una pensionata che va via dall’Italia, sorride. Abbiamo una casa, abbiamo uno spazio e la nostra vita ha acquisito valore. Quando ci si apre agli altri si ha opportunità di conoscenza e fare nuove esperienze».
A chi dice prima gli italiani, e perché non prendere un terremotato in casa al posto di uno straniero, «rispondo che normalmente chi fa così non fa nulla», chiosa il marito. «Si lamenta e basta. Noi abbiamo fatto qualcosa», dice Massimo. «Ognuno dovrebbe fare la sua parte, una cosa non esclude l’altra. Non ci sono priorità ma tante necessità».
Il viaggio di Abdoulaziz
Quando è partito da casa Abdoulaziz era minorenne. Dal Gambia è passato in Senegal, poi in Mali, quindi in Niger e in Libia. È stato in prigione.
Ha raccontato il suo viaggio a Maria Grazia e Massimo: è arrivato in Italia che aveva appena compiuto 18 anni, sbarcato a Lampedusa, salvato da una nave umanitaria, tedesca, di cui non ricorda il nome. Nella coppia italiana ha trovato «sorrisi, tanti sorrisi».
Una famiglia. «Mi sono stupito», dice. «Sì che voglio restare, sto bene con loro. Non sognavo neanche di conoscere persone così. Io sono africano, loro sono italiani: non pensavo che fosse possibile. Né so se io, al contrario, avrei avuto il coraggio di fare quello che hanno fatto loro».
Abdoulaziz ama leggere, ha una pila di libri sulla scrivania ed è estremamente sincero. «Tutti quelli che viaggiano lo fanno per una ragione. Scappano o vogliono migliorare la vita. A me, qui in Italia, non è capitato nulla di brutto, ma ho visto scene tristi. Amici maltrattati, insultati anche solo perché stavano attraversando la strada al grido di ‘tornatevene a casa vostra’. Perché lo fanno? Malattia mentale. Non sono nati così ma lo sono diventati: avranno incontrato persone cattive».
Musiche video: Tetra – Welcome parade/W.A.M.S – Welcome
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