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I «Ribelli dell’onestà»: gli scontenti del Movimento pensano già a un futuro senza Pd

08 Settembre 2019 - 08:00 Giada Ferraglioni
Prima il compromesso leghista, poi l'accordo con il Pd. Mentre la nuova coalizione di governo prende forma, una fila di scontenti torna a parlare di «onestà» e «dignità» con i vecchi toni . Ma lo spettro di una scissione sembra essere lontano

«Sono nato 5 stelle e di sicuro non morirò piddino». Le parole pubblicate su Facebook dal consigliere comunale del Lazio Davide Barillari sono una secchiata d’acqua fredda. I giorni di trattative tra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico per far nascere il nuovo Governo stavano quasi per far dimenticare i dissapori atavici tra le due parti in gioco. Il focus, però, non ha tardato a ritrovarsi. In questi giorni, una frangia più ortodossa dello stesso fondatore – che ha aperto con trasporto all’alleanza inedita- non si è fatta ammorbidire dai 26 punti dell’accordo, ed è rimasta salda sui vecchi leitmotiv. E «non dimentica Mafia capitale», «non dimentica Bibbiano», «non dimentica i 1.043 arrestati Pd negli ultimi 7 anni». I malumori tra gli scontenti della nuova creatura governativa erano iniziati già prima dell’esito della votazione sulla piattaforma Rousseau. Voci in Parlamento, raccolte dall’Adnkronos, parlavano di una schiera di fedeli alla Lega (che non aveva mancato di fare proselitismo tra i meno convinti del patto col Pd) che stava per confluire in una lista di dissidenti chiamata “Liberi Cittadini”.

ANSA, Angelo Carconi| Il murales comparso in piazza Capizucchi sul nuovo governo Conte. L’opera ritrae il premier Giuseppe Conte, il neo ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il segretario del Pd Nicola Zingaretti e il senatore Matteo Renzi, Roma, 06 settembre 2019

Già nei giorni precedenti allo scioglimento della riserva di Giuseppe Conte, accanto ai big che «dicevano no» pubblicamente (poi redarguiti da Vasco per aver usato impropriamente una sua canzone), una minoranza di delusi cominciava a prendere forma tra gli eletti e tra gli iscritti. Buona parte di loro si è riunita il 7 settembre a Bologna, in un’assemblea organizzata dallo stesso Barillari e indetta per «far ripartire il sogno».

Dignità, onestà, coerenza: dalla base torna il sogno del Movimento

«Non tenete nel cassetto i vostri sogni», aveva detto Conte il 2 settembre, alla vigilia della votazione su Rousseau. Un idealismo, quello evocato dal premier, che era stato poi riproposto dal capo politico del Movimento Luigi Di Maio come il superamento delle distinzioni tra destra e sinistra verso la «politica del fare». Durante il discorso alla stampa dopo la vittoria del sì, nemmeno per un momento Di Maio era sembrato imbarazzato per la svolta a 180 gradi compiuta dal Movimento. Si diceva «orgoglioso», piuttosto, e con il solito sorriso aveva detto: «Ora andiamo a cambiare l’Italia».

ANSA/Angelo Carconi | Il capo politico del M5s Luigi Di Maio durante la conferenza stampa al termine del voto sulla piattaforma Rousseau. Roma, 03 settembre 2019

Per alcuni tra i componenti del Movimento, però, l’attivismo politico non può più ridursi a «un ago della bilancia fra destra e sinistra». Di colpo ricominciano a rifarsi strada, nella loro versione più radicale, le parole bandiera del Movimento: onestà, coerenza e dignità. «Il Movimento deve rimarcare la sua identità», si è vociferato tra i partecipanti al termine dell’assemblea di Bologna – dai contenuti ancora non chiariti. La retorica del sogno ritorna anche in una nota di Barillari, pubblicata su Facebook la mattinata prima dell’incontro emiliano, titolata “I Guerrieri della Coerenza”. «È ancora l’ora dei delusi, degli scontenti, degli ultimi, di chi ancora si nutre di speranza», aveva scritto. «Di chi ancora crede. Di chi ancora sogna e vive questo sogno. È l’ora della dignità». «Il Movimento non ha più dignità», aveva commentato qualcuno. «Di Movimento 5 Stelle è rimasto poco, è rimasto chi come te ha preso le distanze da questo Movimento che non esiste più», aveva scritto qualcun altro. E ancora: «Questi ideali, se perseguiti coerentemente, vanno espressi con un nuovo contenitore. E chi si sente tradito dovrebbe abbandonare questo partito».

Lo spettro (remoto) della scissione

Un altro contenitore, dunque. Un’ipotesi remota, che non parrebbe coincidere con il lessico di chi il Movimento lo rappresenta da eletto (lo stesso Barillari non parla mai dal di fuori della formula Movimento 5 Stelle). Ma accanto ai commenti più ideologici degli elettori, che fanno leva sugli obiettivi anti-establishment bucati dopo le nozze con Lega e Pd, ci sono i malumori più istituzionali. Quelli dei rappresentanti e degli ex ministri che mandano giù a fatica la mancata riconferma e che men che meno apprezzano la nomina di Paolo Gentiloni a Commissario europeo. Da questo punto di vista, le probabilità che la fiducia in Parlamento possa venire meno a causa di qualche dissidente è piuttosto remota. Anche se il vicesegretario leghista Andrea Crippa ha dichiarato che «ci sono stati almeno nove senatori del M5s» che lo hanno chiamato «dicendosi disponibili a non votare la fiducia a Palazzo Madama», gli eletti pentastellati sanno bene che l’errore di Salvini è un’occasione troppo grande da lasciarsi scappare. E sanno bene che, nel Movimento, leave means leave. E la strada del ritorno non esiste.

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