Peppino Impastato, il casolare in cui venne ucciso diventerà un bene pubblico
Peppino Impastato era un giornalista di Cinisi (Palermo), un attivista ma anche un membro di Democrazia proletaria che non guardava in faccia nessuno e che, in un’epoca fatta di omertà e paura, non si faceva problemi a denunciare pubblicamente le attività di Cosa Nostra, lottando contro i boss del suo paese e sfidando persino Gaetano Badalamenti, che aveva un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga così come denunciato in radio da Impastato. Ora l’edificio in cui venne ucciso diventerà un bene pubblico.
L’assassinio
Un’attività, quella giornalistica, che a Peppino Impastato costò la vita: venne assassinato da Cosa Nostra, su ordine del boss Tano Badalamenti, nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale (lui si era candidato nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali).
Il suo cadavere venne fatto saltare in aria con una carica di tritolo posta sui binari della ferrovia così da inscenare un attentato suicida. Lo stesso giorno venne trovato, a Roma, il corpo del presidente della Dc Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse.
La decisione di Musumeci
Adesso l’edificio in cui venne ucciso diventerà un bene pubblico, su proposta del governatore siciliano Nello Musumeci che, con la sua giunta, ha approvato gli atti necessari per procedere alla espropriazione dell’edificio e del terreno circostante. Il governo regionale ha impegnato 106.345 euro necessari per l’acquisizione dell’immobile, dichiarato cinque anni fa di interesse culturale.
«Peppino Impastato — ha detto il governatore siciliano Musumeci — rappresenta un simbolo della Sicilia onesta che ha combattuto e deve continuare a combattere la criminalità mafiosa e il malaffare. Una figura che, oltre le diversità delle appartenenze politiche, costituisce un esempio di denuncia e di coraggio, soprattutto per le giovani generazioni».
Chi era Peppino Impastato
Peppino, fondatore di Radio Aut dove ironizzava su mafiosi e politici conniventi, era cresciuto in una famiglia nella quale non si riconosceva affatto. Il padre, infatti, era stato accusato di far parte della “piovra” mentre sua zia si era sposata con il capomafia Cesare Manzella. I rapporti di Peppino Impastato col padre erano pessimi al punto che un giorno venne cacciato di casa.
«Arrivai alla politica – diceva – nel lontano novembre del 1965, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare divenuta ormai insostenibile. Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una società tardo-contadine e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, fin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte ed il suo codice comportamentale. È riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e a compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività».
Foto in copertina: Vincenzo Monaco per Open
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