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Giovani e lavoro, il precariato nell’era dei freelance: «Il problema non è il contratto, ma una rete di protezione sociale»

10 Settembre 2019 - 06:02 Giada Ferraglioni
Movimento 5 Stelle e Partito Democratico si posizionano su due binari differenti per quanto riguarda la lotta al precariato. Ma quanto funzionano le loro proposte nel mondo dei lavoratori autonomi?

«Questo è il governo più giovane della storia della Repubblica. Non può rinnegare se stesso. Deve assolutamente raccogliere e vincere questa sfida». Nel suo lungo discorso alla Camera, durato un’ora e 30 minuti, il premier Giuseppe Conte non ha mancato di centrare due delle questioni cardine dell’Italia contemporanea: i giovani e il lavoro.

Portandole sempre di pari passo, Conte ha spiegato davanti ai deputati come sia difficile «spingere l’intero Paese verso le più avanzate frontiere della conoscenza» senza che si ponga attenzione alle nuove generazioni.

Bisogna «rafforzare e valorizzare il sistema universitario e di ricerca», e incrementare la loro partecipazione «alla formazione terziaria per colmare il divario che separa» il nostro Paese «dai partner europei».

Buoni propositi, certo, che però si scontrano con la realtà dei fatti: Movimento 5 Stelle e Partito Democratico hanno portato avanti due posizioni agli opposti dal punto di vista dello sviluppo economico e delle politiche del lavoro. Due visioni, una più liberista e l’altra più assistenzialista, che ora il premier sembrerebbe voler rileggere valorizzandone i punti in comune.

ANSA | Giuseppe Conte

Non è un caso infatti che il premier non pronunci mai i termini Jobs Act e decreto Dignità (grandi terreni di scontro tra le due parti), ma si concentri sulla necessità di attuare strategie per tenere i cervelli in Italia e stimolarli a contribuire alla ricrescita. «C’è bisogno di idee», dice, tralasciando i dettagli.

Dagli scontri alla quadra: da dove ripartire in tema lavoro

Di come sciogliere le questioni che hanno mantenuto fermo il divario tra le due parti non c’è ancora traccia, fatta eccezione per un confronto sul salario minimo. Un compromesso che accontenti i primi e non scontenti troppo i secondi, e che si leghi, come confermato dalla neoministra del Lavoro Nunzia Catalfo, alle contrattazioni collettive.

Da portare avanti «garantendo le tutele massime a beneficio dei lavoratori, anche attraverso il meccanismo dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative».

E mentre ci si domanda se durerà, sorge il dubbio che, più che trovare un compromesso tra vecchi pilastri, bisognerebbe individuare una prospettiva radicalmente nuova per dare una spinta definitiva all’occupazione giovanile.

ANSA / Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro

Tutele dei lavoratori nell’era dei freelance. Come attualizzare il discorso sul precariato?

Michele Tiraboschi, direttore scientifico del centro di ricerca sul lavoro Adapt, ha parlato a Open dei possibili scenari che si apriranno in ambito di politiche lavorative. «In generale siamo in una tregua apparente non costruita su molti punti in comune, più sulla difensiva che sul riformismo», ha spiegato, suggerendo che un vero cambiamento dovrebbe passare non tanto per l’allungamento contrattuale, ma sulla valutazione di lavori che hanno ormai o ancora validità zero sul mercato.

Lavoratori autonomi, attività di cura non retribuita, mestieri fuori dal mercato. Cambiano gli scenari, cambiano le modalità di affrontare i problemi. Secondo Tiraboschi, pensare di risolvere il precariato ripartendo dai contratti è ormai una strategia che non esaurisce più i tempi nei quali le generazioni più giovani muovono i loro passi.

Tiraboschi, secondo lei quanto durerà questa tregua tra Pd e M5s, e dove porterà?

«Difficile dare una risposta sulla durata perché è chiaro che dipenderà dagli equilibri interni alla maggioranza e dalle risorse economiche a disposizione, che contano molto di più delle idee che si vogliono portare avanti.

Un punto centrale di questa tregua momentanea è quello del salario minimo, ma anche in questo caso non appena la discussione entrerà nel merito emergeranno contraddizioni che già nelle diverse proposte di legge depositate da membri dei due partiti sono ben chiare.

Così come è molto diverso l’atteggiamento nei confronti dei rapporti con le parti sociali, in particolare con il sindacato da cui difficilmente si potrà prescindere (anche in termini di tenuta del governo e di consenso sociale) nella discussione su un tema così delicato».

Potranno esserci dei progressi nella lotta al precariato o si preannuncia un periodo di immobile equilibrio tra le due parti?

«Dovremmo intenderci bene su cosa intendiamo per precariato. Se il discorso è ridotto alla normativa sul contratto a termine, dopo il Decreto Dignità non credo si farà altro in tempo breve. Anche perché buona parte del Partito Democratico era d’accordo con gli interventi di natura restrittiva che sono stati fatti.

Se invece con “precariato” si intende l’insicurezza creata dalle profonde trasformazioni in atto, e dunque dal governo dei moderni mercati dal lavoro caratterizzati da transizioni occupazionali continue e dalla necessità di una costante riqualificazione, l’auspicio è che la fase due del reddito di cittadinanza possa incontrarsi con quanto ancora di incompiuto c’è nel Jobs Act sul fronte delle politiche attive del lavoro.

Il precariato è la situazione di malessere percepita dalle persone in relazione al tema lavoro. Ma il problema non è più la durata dei contratti o il posto fisso quanto una rete di protezione sociale adeguata alla stagione del post fordismo e di un lavoro che spesso è fuori mercato o senza valore di mercato. Pensiamo a tutto il tema del lavoro di cura e del lavoro non produttivo che pure reclama un riconoscimento».

Quale misura sarebbe più utile contro il precariato, soprattutto per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro?

«Ho molti dubbi sul fatto che ciò che serva ai giovani oggi siano riforme del diritto del lavoro, penso sia molto più strategico investire su una modernizzazione dei percorsi e dei metodi didattici a tutti i livelli di istruzione mettendo risorse su strumenti come l’apprendistato duale, su realtà come gli ITS, sui dottorati industriali, su una università che dialoghi più con il mondo del lavoro e sia meno autoreferenziale. Allo stesso tempo un intervento in materia di tirocini, per limitare il loro abuso».

Quali dovrebbero essere le prime mosse importanti e concrete che il Ministero del Lavoro è chiamato a fare?

«Ci aspettiamo, dopo il discorso di Conte in Parlamento, una legge sul salario minimo e, agganciata a questa, una legge sulla rappresentanza del lavoro. Questo credo sia un errore che darà luogo a una invasione dello Stato dentro le libere dinamiche sindacali quando basterebbe applicare le leggi vigenti a sostegno dei sindacati comparativamente più rappresentativi.

Un’area sui cui invece lavorerei, e che è stata indicata anche da Conte, è il lavoro di cura non solo il sostegno ai caregiver familiari ma soprattutto la costruzione di un vero e proprio mercato del lavoro professionale di cura e assistenza alla persona e alle famiglie. E’ una area prioritaria che, se adeguatamente sostenuta, potrebbe in un colpo solo sostenere (indirettamente) l’occupazione femminile, far emergere quote rilevanti di lavoro nero, governare i processi di inclusione di immigrati e gruppi svantaggiati.

Al fondo, però, ci dovrebbe essere un ripensamento della idea e del valore del lavoro uscendo dai limiti del lavoro produttivo della fabbrica e riconoscendo invece il valore anche economico della assistenza alla persone e alla famiglia».

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