Non solo Casapound e Forza Nuova: tutti i casi in cui Facebook ha chiuso le pagine su cui esplodeva l’hate speech
Il più importante social network (e forse dovremmo iniziarlo a chiamare editore) al mondo, ha deciso di chiudere per sempre le pagine ufficiali di Casapound, Forza Nuova e di alcuni loro leader ed esponenti locali. Stessa cosa per Instagram, piattaforma di cui Facebook è proprietaria. Ed è subito scoppiato un caso: si discute di rischio per la libertà di espressione, i militanti utilizzano Twitter per gridare alla censura politica.
La spiegazione di Menlo Park
Ma le motivazioni di Facebook sono limpide: va chiusa la pagina di «qualsiasi associazione di almeno tre persone organizzata con un nome, un segno o simbolo e che porta avanti un’ideologia, dichiarazioni o azioni fisiche contro individui in base a caratteristiche come la razza, il credo religioso, la nazionalità, l’etnia, il genere, il sesso, l’orientamento sessuale, malattie gravi o disabilità». E le pagine social dei due partiti grondavano di commenti in linea con questo genere di incitamento all’odio.
Una decisione presa dall’alto
Non si tratta di un’azione decisa ed eseguita dalla sezione di Facebook Italia. A dirlo il Fatto Quotidiano, il quale scrive che la decisione «non è stata presa in Italia, ma a livello centrale – da una sorta di collegio dei revisori – formato da 30mila esperti in tutto il mondo tra tecnici, giuristi ed esperti di vario genere». Inoltre l’iniziativa di Menlo Park sarebbe stata anticipata al ministero dell’Interno.
Il principio dei problemi
Va ricordato subito che il caso riguardante Casapound e Forza Nuova non è un inedito: in molti Paesi esteri Facebook ha fatto valere il diritto di chiudere gli account degli utenti, siano essi gruppi politici o singoli individui, che non hanno rispettato la policy del social.
Una viva discussione, ancora in corso, sull’opportunità di questi provvedimenti è iniziata dopo gli attentati di Christchurch, in Nuova Zelanda. Lo scorso 15 marzo persero la vita 50 persone e l’attentatore, un 28enne suprematista bianco, trasmise in diretta su Facebook la strage.
«Era un modo per normalizzare l’odio»
Vice riporta le dichiarazioni di Ulrick Casseus, esperto di gruppi di odio che lavora nel team delle policy di Facebook: «Ci siamo accorti che sempre più persone iniziavano a distinguere, dicendo “Non sono razzista, sono un nazionalista”, spingendosi fino a sostenere di non essere suprematisti bianchi, ma nazionalisti bianchi, mantenendo però comportamenti e diffondendo contenuti che incitano all’odio. Era un modo per normalizzare l’odio».
Il Regno Unito fa scuola
I ban europei di Facebook si sono concentrati con una certa intensità in Regno Unito. Il primo a farne le spese fu, lo scorso febbraio, l’attivista di estrema destra Tommy Robinson, con la motivazione di promuovere il suprematismo bianco e di «non poter accettare il linguaggio utilizzato dal suo account».
A ruota, sono stati cancellati gli account di 12 attivisti del British National party (Bnp), dell’English Defence League (Edl) e di National Front. Ma è ad aprile che Facebook, sotto pressione proprio per il massacro di Christchurch, ha chiuso definitivamente le pagine di numerose organizzazioni di estrema destra del Regno Unito, tra cui proprio Bnp, Edl e Britain First.
Dall’Europa all’America
Le stesse misure sono state adottate da Menlo Park nei confronti del movimento paramilitare ucraino Azov, di ispirazione neonazista. La pagina era stata già rimossa temporaneamente nel 2015. Promozione di «odio organizzato», fu l’accusa.
A essere chiuso, in Austria, è stato l’account del movimento Generazione identitaria e i suoi affiliati britannici. In Grecia ha subito la stessa pratica il partito di Alba Dorata. La scure contro individui e gruppi di estrema destra, da aprile in poi, è stata utilizzata oltre Oceano.
Numerose pagine canadesi e account di complottisti statunitensi come Alex Jones di Infowars, Milo Yiannopoulos, Paul Joseph Watson, Laura Loomer, Paul Nehlen e Louis Farrakhan sono stati chiusi. Per sempre.
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