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Perché l’acqua di Fukushima sversata nell’oceano non è un pericolo sanitario

11 Settembre 2019 - 06:00 Juanne Pili
Fukushima
Fukushima
Quando si parla di radioattività abbiamo un po' paura, ma al solito è la dose che fa il veleno

Sta suscitando un certo allarme la notizia sull’acqua radioattiva di Fukushima. La società Tokyo electric power che controlla la centrale nucleare, avrebbe infatti deciso di sversare nell’oceano l’acqua contaminata. Questo è quanto è stato annunciato dallo stesso ministro dell’Ambiente Yoshiari Harada.

Cosa c’entra l’acqua radioattiva con la centrale di Fukushima?

Sostanzialmente serve a scopo di refrigerazione, mantenendo la temperatura del nocciolo a livelli di sicurezza. Quest’acqua deve essere cambiata periodicamente, perché man mano viene contaminata dai prodotti dell’attività nucleare. Dobbiamo preoccuparci? Non più di quanto dovrebbero preoccuparci le quantità di radionuclidi derivati da decenni di test nucleari nei ghiacci dell’Artico che si stanno fondendo, rilasciando anche in quel caso “acqua radioattiva” nei mari. Come spiegavamo infatti, si tratta di quantità infinitesime che non andranno a incidere sulla radioattività dei mari. Del resto anche il nostro Pianeta ha una sua radioattività naturale.

Perché l’acqua di Fukushima non è un pericolo

Un discorso analogo possiamo farlo anche per il milione di tonnellate d’acqua radioattiva che i giapponesi si appresteranno a sversare, come spiega a Open il fisico nucleare Enrico D’Urso. «Prima di tutto dobbiamo confrontare la radioattività contenuta dentro quell’acqua con quella dell’oceano – spiega D’Urso – Sembra assurdo confrontare un milione di tonnellate d’acqua col volume dell’intero oceano Pacifico». Ricordiamo tanto per farci un’idea, che il Pacifico da solo contiene metà dell’acqua nei mari dell’intero Pianeta.

«Nella storia si sono fatti molti esperimenti nucleari nel Pacifico – continua il fisico – quelli più famosi sono avvenuti a Bikini. Si stima che le emissioni di Cesio137 [dovute ai test, Nda] siano pari a 100 PBq (petàbequerelle, l’unità di misura della radioattività). Da ciò, nel complesso della radioattività naturale, le emissioni derivanti dai test nucleari sono trascurabili nel complessivo della radioattività naturale, benché comportino un pericolo negli esatti luoghi delle esplosioni e dove sono localizzati i materiali contaminati». 

Dovrà pur essersi accumulata della radioattività nelle cisterne che conservano quest’acqua. A quanto ammonta? «La contaminazione non è uniforme – precisa D’Urso – per il trizio si passa dalle 0.5 a 4 MBq/l (megabequerelle per litro), con 0.76 PBq totali immagazzinati a metà 2018. Da tener poi presente che la concentrazione di trizio nell’acqua sta calando nel corso degli anni, quindi l’acqua nuova ha molto meno trizio dell’acqua vecchia. 

Ora ci potrebbe essere chi dice che il trizio fa male, e ha ragione, ma questo è vero solo a seconda delle concentrazioni. Ricordo che il corpo umano è naturalmente radioattivo a causa di potassio e carbonio, mentre le banane sono uno degli alimenti più radioattivi (anche se le noci brasiliane le battono di qualche lunghezza). Secondo quanto riportato dalla Gazzetta ufficiale la concentrazione massima di Trizio consentita non deve superare i 100 Bq/l. Da tener presente che per l’Oms i limiti del trizio per le acque potabili è di 10.000 Bq/l. Bevendo per tutto l’anno da una fonte con 60 Bq di trizio, la dose annuale corrisponderebbe ad 1/2000 di una Tac o a 1/12 di un viaggio aereo Washington-Los Angeles e ritorno».

Cosa possiamo dire invece riguardo al cesio e tutti gli altri elementi? «Gli impianti di trattamento riescono a estrarli praticamente tutti – assicura D’Urso – sono elementi che si possono facilmente estrarre tramite filtri, ed è per questo che le concentrazioni finali sono così basse. Al contrario, questo non può succedere col trizio, che è un isotopo dell’idrogeno, e da ciò è chimicamente indistinguibile da esso. Uno dei pochi modi per poter estrarre trizio dal resto dell’acqua sarebbe farla bollire con distillazione frazionata, infatti l’acqua triziata ha un punto di ebollizione più alto dell’acqua normale (101,51 °C), e puoi estrarlo comodamente con metodi termici, che però non risultano convenienti data la concentrazione assoluta ed il rischio sanitario da esso derivante dopo la diluizione. 

Infatti i rilasci non saranno istantanei ma graduali, e verranno scaricati nell’oceano su un lungo periodo di tempo. Se i rilasci fossero istantanei ci sarebbe un divieto di pesca per una cospicua zona, lungo un intervallo di tempo da determinare in funzione del totale rilasciato, e delle analisi sulla diluizione nell’oceano. Se invece i rilasci avvenissero gradualmente non ci sarebbe alcun rischio sanitario di alcun genere, proprio perché  avverrebbero in funzione di non comportare rischi sanitari». 

Foto di copertina: IAEA Imagebank/Fukushima Sea Water Sampling-3

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