In Evidenza Benjamin NetanyahuDonald TrumpGoverno Meloni
SOSTENIBILITÀCambiamento climaticoFridays for futureGreta ThunbergRicerca scientifica

Fridays for future: quattro ragioni «elementari» per combattere il cambiamento climatico

16 Settembre 2019 - 06:24 Juanne Pili
Terra, aria, fuoco e acqua: il cambiamento climatico attraverso i quattro elementi degli Antichi

La campagna settimanale Fridays for future prosegue raccogliendo aderenti tra «tutti coloro che hanno a cuore il nostro futuro», soprattutto i coetanei di chi ha lanciato l’iniziativa, Greta Thunberg, dopo aver già reso “cool” quello che prima restava a fare la polvere dentro ristretti circoli accademici.

Ma denunciare i pericoli del cambiamento climatico significa anche produrre una critica forte e originale al sistema economico attuale. Non per mettere in discussione la legittimità del capitalismo, quanto per analizzare, e rivedere, gli effetti che la produzione industriale genera sul clima; trovare delle soluzioni attraverso lo sviluppo di energie rinnovabili e promuovendo uno stile di vita consono a un’economia circolare, richiede ugualmente finanziamenti e interessi di business.

Il riscaldamento è sovrastimato?

Questa contraddizione è sia al cuore delle critiche mosse all’attivista svedese, sia in quello degli ecologisti più radicali. Ma il Riscaldamento globale in fin dei conti, non sarà forse un fenomeno sovrastimato? Al netto delle ideologie – vecchie e nuove – quel che ci dicono decenni di ricerche scientifiche non è proprio rassicurante. Le conferme arrivano mediante la revisione delle misurazioni effettuate, da parte della Nasa.

Ormai le conferme sono tali che i negazionisti del Riscaldamento globale risultano tagliati fuori da ogni dibattito credibile sul clima. In Italia la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ha lanciato un appello sottoscritto da numerosi scienziati: «Basta balle sul clima», indice del fatto che le tesi negazioniste sono vere e proprie fake news di cui chi opera nel settore dell’informazione dovrebbe tener conto.

Le proiezioni mostrano scenari preoccupanti già entro il 2050. Ma non parliamo di un problema ignoto ai più, prima che Greta se ne accorgesse. Tutto cominciò il 23 luglio 1973 con la pubblicazione del Charney Report. Anche questo documento ovviamente non saltava fuori dal nulla, si trattò piuttosto della prima valutazione globale dei cambiamenti climatici in atto.

Il fenomeno, dovuto all’aumento dei livelli di anidride carbonica in atmosfera, oltre a causare il Riscaldamento globale (riferito alla temperatura media del Pianeta), produce anche una serie di effetti a catena che noi generalmente identifichiamo come cambiamenti climatici.

Le conseguenze si leggono nei nostri giornali. Sono interdipendenti tra loro, ovvero si influenzano a vicenda, ma per comodità le esporremo divise nei quattro elementi classici con cui i nostri avi vedevano il Mondo, quando la responsabilità delle intemperie era riservata solo agli Dei.

Terra

Possiamo osservare le conseguenze del Riscaldamento globale anche in Italia, dove da oltre trent’anni il Nord delle Alpi ha subito una riduzione del 40% della superficie dei suoi ghiacciai. Stando alle proiezioni entro il 2100 questa riduzione dovrebbe superare il 60%.

Anche nella catena dell’Himalaya la situazione non è delle più rosee. Secondo i dati che i satelliti spia americani raccolsero tra gli anni ’70 e ’80, un quarto di oltre 650 ghiacciai hanno subito una notevole riduzione negli ultimi quarant’anni.

Secondo i ricercatori della Columbia University che hanno analizzato i dati, «si tratta della più evidente prova raccolta finora di quanto velocemente i ghiacciai dell’Himalaya si stiano sciogliendo dal 1975 a oggi».

Il Riscaldamento globale non si limita ai ghiacciai e ha conseguenze che si ripercorrono anche sulle nostre vite. Secondo una ricerca pubblicata su Pnas (organo dell’Accademia delle scienze degli Stati Uniti), i cambiamenti climatici contribuiscono ad aumentare il divario tra Paesi ricchi e poveri.

Ma il divario sta più che altro nella differenza con cui diversi paesi accedono alle risorse energetiche. Recentemente un rapporto presentato all’Onu si focalizza sugli effetti del Riscaldamento globale sulle popolazioni, tanto che si è parlato di «apartheid climatica» tra ricchi e poveri. «Tutti i paesi in via di sviluppo subiscono il 75% del peso della crisi climatica, mentre solo per il 10% partecipano alle emissioni».

Senza un serio piano condiviso a livello globale, entro il 2050 le emissioni di gas serra porteranno città come Torino e Milano ad avere temperature come quelle che si registrano a Dallas. A pagarne le conseguenze saranno i soggetti più vulnerabili, come anziani e bambini. Così diversi paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti e recentemente l’Australia, hanno riconosciuto i cambiamenti climatici «emergenza sanitaria».

Aria

Leggiamo qualche numero riguardo a quel che sta succedendo nella nostra atmosfera, qui infatti si trova il fattore principale che porta agli sconvolgimenti climatici. Sappiamo che la CO2 è in aumento, sempre più velocemente. Nel maggio 2019 è stata superata la soglia mensile delle 414 parti per milione (ppm). Era da oltre 60 anni che non si registravano valori del genere.

L’aumento è stato di 3,5 ppm rispetto al 2018. Tale incremento della temperatura media nel Mondo è accompagnato dall’espandersi dell’attività industriale, fin dal 1850. Una particolare impennata è stata registrata invece a partire dal secondo dopoguerra. Questa tendenza viene studiata attraverso la curva di Keeling.

Anche il metano e il diossido di azoto sono dei gas serra in aumento. Il metano in particolare ha subito una rimonta dal 2007, gli incendi c’entrano solo marginalmente, mentre è stata individuata una correlazione con l’incremento delle attività di estrazione del gas di scisto.

Il diossido di azoto (venti volte più potente della Co2) deve invece il suo incremento al trasporto stradale, alla combustione residenziale e all’attività industriale.

Le conseguenze si vedono anche nel modo in cui tutto questo influenza le correnti – uragani compresi – la cui potenza risulterà sempre più alta. Lo stesso discorso vale anche per Dorian, con buona pace di chi nega dei collegamenti col Riscaldamento globale.

Nel Mediterraneo, diverse condizioni rendono attualmente improbabile che si generino cicloni così potenti da divenire degli uragani veri e propri. Ma in futuro le cose potrebbero cambiare? Uno studio pubblicato il 18 gennaio scorso su Geophysical research letters mostra delle proiezioni per il 2100 che propongono uno scenario in cui i cicloni del Mediterraneo cominceranno a essere sempre più pericolosi, anche se non aumenterebbe particolarmente la loro frequenza.

Fuoco

Può sembrare incredibile, ma lo stesso fenomeno che porta alla riduzione dei ghiacciai e della calotta glaciale in Groenlandia e Antartide, porta anche agli incendi che si sono registrati nelle foreste attorno al Circolo polare artico. Hanno destato particolare scalpore quelli in Siberia, ma il fenomeno riguarda anche il Canada.

L’aumento delle temperature oltre la media in estate ha reso secca la torba sotto il terreno, normalmente intrisa d’acqua. Se aggiungiamo che questo elemento del terreno è ricco di carbone entriamo in un circolo vizioso, gli incendi infatti finiscono per liberare alte concentrazioni di CO2.

Lo stesso succede in Amazzonia. Jonathan Foley ex direttore esecutivo della California Academy of Sciences, oltre a precisare che la foresta pluviale non rappresenta affatto una effettiva riserva di ossigeno, ricorda anche che immagazzina grandi quantità di carbonio dalla biosfera.

Acqua

Ciò che invece non dovrebbe stupirci è il collegamento tra fusione dei ghiacci terrestri (da non confondere con quelli marini) e l’aumento del livello dei mari. Stando alle ultime proiezioni, le acque aumenteranno il loro livello di due metri entro il 2100.

Le nostre coste saranno decisamente ridimensionate. Tale innalzamento avrà certamente conseguenze drammatiche, tenendo conto che rappresenterebbe una perdita di 1,79 milioni di chilometri quadrati di terre. Certo, le proiezioni non sono previsioni, ma ci dicono cosa potrebbe succedere se non si farà niente per ridurre le nostre emissioni. E il tempo stringe.

Del resto anche la temperatura degli oceani è in aumento, con una accelerazione sempre più alta. Parliamo di un aumento della velocità media pari al 40% rispetto a quanto sapevamo in precedenza. 

Gli oceani assorbono il 93% del calore che produciamo. Così il cerchio che abbiamo tracciato si chiude, perché dall’aumento della temperatura media dei nostri mari derivano la fusione dei ghiacciai, la comparsa di uragani più distruttivi e lo sconvolgimento dell’ecosistema marino, da cui dipende il settore della pesca: una fonte di reddito importante per molti Paesi, specialmente quelli in via di sviluppo.

Foto di copertina: Vincenzo Monaco/I quattro elementi degli Antichi.

Sullo stesso tema:

Articoli di SOSTENIBILITÀ più letti