Arabia Saudita, attacco alle raffinerie: le incognite per l’economia mondiale ed europea
Il mercato del petrolio è in fibrillazione dopo gli attacchi dello scorso sabato alle raffinerie saudite di Abqaiq e Khurais. I droni lanciati contro l’impianto di raffinazione più grande del Paese hanno dimezzato la capacità produttiva dell’Arabia Saudita provocando un innalzamento del prezzo del petrolio sul mercato globale.
Nella giornata di lunedì il costo del greggio ha sfiorato i 72 dollari al barile in quello che è stato definito il più grande danno di sempre causato da un singolo evento al mercato petrolifero mondiale.
Un balzo in avanti del 20% mai visto nella storia, che secondo l’Unione petrolifera è equiparabile solo a «a quello registrato nel 1973-74 in occasione della guerra del Kippur e a seguito della rivoluzione iraniana del 1979 e della guerra Iraq-Iran nel 1980-81, quando i prezzi nel giro di poco tempo raddoppiarono».
L’incognita sulle riserve
Il Paese medio orientale è il primo produttore al mondo di petrolio e gli attacchi alla compagnia petrolifera saudita di Aramco nell’est del Paese ha portato a un calo immediato della produzione saudita di greggio di 5,7 milioni di barili al giorno: ovvero il 5% dell’offerta mondiale.
«Sebbene gli elevati livelli di scorte possano limitare l’impatto degli attacchi del 14 settembre, l’evento evidenzia gli alti rischi geopolitici della regione e i rischi per risparmiare capacità» commenta Standard&Poor.
La perdita, ricorda l’agenzia di rating, equivale a oltre la metà della produzione media del 2019 in Arabia Saudita ma «la durata delle interruzioni della produzione e la quantità di danni subiti dalle strutture non sono attualmente chiari» precisa S&P che il 27 settembre ha in programma la prossima pubblicazione del rating per l’Arabia Saudita con l’aggiornamento di metà anno.
A preoccupare sono soprattutto le capacità estrattive di riserva. L’attacco ha messo fuori uso quasi tutta la capacità del Regno saudita di compensare eventuali mancanze di greggio sul mercato globale. Già a fine giugno Riad aveva messo mano alle sue scorte.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) la capacità produttiva di riserva ammonta a 3,21 milioni di barili al giorno. Di questi 2,27 mbg sono in Arabia Saudita, 620mila mbg in Kuwait ed Emirati Arabi Uniti.
Altri produttori, come Iraq e Angola, posseggono delle riserva, ma limitate. Tra i grandi Paesi esportatori di petrolio c’è l’Iran, ma la sua capacità di immettere petrolio sul mercato è limitata dalle sanzioni americane.
Inoltre, già a fine giugno, come riporta il Sole 24 ore, Riad aveva comunicato alla banca dati Jodi di avere da parte 187,9 milioni di barili: volumi sufficienti per poco più di un mese se dovesse ritrovarsi a compensare a lungo l’intera perdita subita dagli attacchi.
Ma le sue scorte potrebbero essere ancora più basse: da immagini satellitari Ursa Space Systems stima che a inizio settembre negli stoccaggi sauditi ci fossero appena 73,1 mb. Una mancanza che ha già portato a un aumento dei prezzi del petrolio al barile con conseguenze soprattutto per i Paesi importatori.
Il pericolo di inflazione per l’Ue: Germania e Italia in testa
Holger Schmieding, economista di Berenberg, ha osservato come un aumento di 10 euro al barile costerebbe in genere 0.3 punti percentuali all’inflazione dei prezzi al consumo nell’area euro entro due mesi, con un effetto simile sul reddito disponibile dei consumatori.
«Per i paesi che sono già sull’orlo della recessione», spiega Schmieding, «questo potrebbe fare la differenza tra stagnazione o lieve contrazione», ha affermato, riferendosi in particolare a Germania e Italia.
Ma lo scorso anno dalla Banca Centrale Europea sono arrivate rassicurazioni sui prezzi fluttuanti del mercato del petrolio. Quando nel 2018 il costo al barile si aggirava sui 75 dollari, la BCE ha chiarito che un prezzo stabile a quel livello avrebbe un effetto limitato sui redditi e sui consumi reali.
Europa più vicina alla Russia?
La dimezzata capacità di produzione saudita potrebbe avere anche risvolti geopolitici con un avvicinamento dell’Europa alla Russia. I Paesi europei continuano a essere tra i principali importatori di gas russo.
Nel 2018 l’Europa ha importato più del 40% del suo gas dalla Russia. Una dipendenza che potrebbe aumentare con il declino della produzione di petrolio saudita.
Con l’aumento dei costi di approvvigionamento di carburante e il conseguente effetto sui prezzi del petrolio e del gas, l’effetto politico collaterale più significativo potrebbe essere un aumento della dipendenza energetica dell’Ue da Mosca.
La stabilità dell’approvvigionamento energetico dell’UE è già fragile, poiché la maggior parte delle importazioni di carburante nel continente europeo proviene da pochi Paesi. Nel 2018 quasi il 27,3% delle importazioni di petrolio greggio dell’UE proveniva dalla Russia e una piccola percentuale, il 6,6%, proveniva dall’Arabia Saudita.
Dal 2006 al 2016, le importazioni nell’UE di petrolio greggio saudita sono rimaste relativamente stabili, rappresentando una media del 5% delle importazioni totali di petrolio. Le esportazioni di petrolio degli Stati Uniti verso l’Europa sono oggi a livelli simili. Le forniture statunitensi in Europa sono raddoppiate a 430.000 bpd nel 2018, secondo i dati sui flussi di Refinitiv Eikon.
L’instabilità geopolitca: un pericolo per l’Ue
Con l’intensificarsi dello stallo politico nella regione tra Stati Uniti e Iran e la permanente animosità tra Riad e Teheran, con l’appoggio di Tel-Aviv, l’area nevralgica per l’estrazione e l’esportazione delle risorse energetiche mondiali è sempre più a rischio.
Le ripercussioni economiche e politiche non sembrano al momento aver toccato il mercato energetico europeo, ma secondo il Codacons, intervistato da Agi, un prolungato incremento dei prezzi «avrà ripercussioni anche sulle bollette di luce e gas, che come noto nel mercato tutelato vengono fissate trimestralmente dall’Autorità per l’energia. Tuttavia, non è possibile al momento prevedere le ricadute della situazione petrolio sulle bollette energetiche».
Le rivelazioni della Cnn
Secondo quanto riferisce l’emittente statunitense Cnn l’attacco agli impianti petroliferi di Abqaiq sarebbe partito da una base in territorio iraniano, vicino al confine con l’Iraq. Per la testata, che cita una fonte vicina all’indagine, gli inquirenti sauditi e americani avrebbero determinato l’origine dell’attacco «con una probabilità molto alta». La fonte consultata dalla tv americana racconta che sarebbero stati utilizzati missili Cruise che hanno volato a bassa quota.
Leggi anche:
- Arabia Saudita, per la prima volta il Regno offrirà visti turistici
- Mediterraneo, il Giappone invia 260 soldati per proteggere le forniture di petrolio
- Gli Usa in soccorso dell’alleato saudita: inviate nuove truppe in Medio Oriente
- Usa-Ue divisi sul petrolio iraniano. Cosa possiamo aspettarci
- Usa-Iran, lo scontro si accende sui social. Teheran: «Casa Bianca afflitta da ritardo mentale»
- Crisi Usa-Iran: cosa sta succedendo nel Golfo di Oman in tre minuti
- Attacco alle raffinerie, l’Arabia Saudita mostra i resti dei missili e accusa: «Abbiamo le prove, è stato l’Iran»
- Iran, dopo 40 anni via il divieto di andare allo stadio per le donne