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Iran, dopo 40 anni via il divieto di andare allo stadio per le donne

19 Settembre 2019 - 21:35 Redazione
La decisione dopo la morte di Sahar Khodayari, la giovane donna che a 29 anni, nei giorni scorsi, si era data fuoco per evitare di tornare in carcere dopo essere stata scoperta in uno stadio di calcio

Qualcosa sta cambiando, in Iran, dopo la morte di Sahar Khodayari, la giovane donna che a 29 anni, nei giorni scorsi, si era data fuoco per evitare di tornare in carcere dopo essere stata scoperta in uno stadio di calcio nonostante il divieto per le donne.

Dopo le polemiche in seguito alla morte della giovane donna, in una nota il ministro dello Sport della Repubblica islamica, Masoud Soltanifar ha annunciato che «tutte le preparazioni necessarie sono state fatte in modo che le donne, inizialmente solo per le partite internazionali, possano entrare negli stadi di calcio» in Iran.

L’eliminazione del divieto, in passato rimosso solo in alcune occasioni, è prevista a partire dalla partita che il 10 ottobre la nazionale maschile di calcio giocherà allo stadio Azadi di Teheran contro la Cambogia: partita valida per le qualificazioni al Mondiale del 2022 in Qatar. Nell’impianto sono stati approntati ingressi, spazi e bagni separati per uomini e donne. È anche previsto un dispiegamento rafforzato di polizia, per garantire che non vi siano incidenti.

Il governo moderato del presidente Hassan Rouhani aveva già mostrato aperture sul tema, spiega l’Ansa. Aperture sollecitate anche dalla Federazione calcistica internazionale. Ma si era scontrato con il clero sciita più conservatore.

La morte di Sahar Khodayari dimostra «il terribile disprezzo delle autorità iraniane per i diritti delle donne», aveva dichiarato il direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa, Philip Luther, definendo «straziante» il suicidio della donna.

Il bando dagli stadi

Il bando delle iraniane dagli stadi del Paese è entrato in vigore dopo la rivoluzione islamica del 1979 ed è tornato al centro di dure polemiche. Sahar Khodayari è stata ribattezzata “la ragazza in blu” dai colori della sua squadra del cuore, l’Esteghlal di Teheran, allenata ora dal tecnico italiano Andrea Stramaccioni.

La donna, scrive l’Ansa, era morta in ospedale per le ustioni riportate dopo essersi data fuoco davanti a un tribunale della capitale iraniana quando ha appreso che rischiava una condanna a sei mesi per oltraggio al pudore per essere entrata allo stadio nel marzo scorso. La magistratura della Repubblica islamica aveva poi precisato che non era stata ancora emessa nei suoi confronti alcuna sentenza.

La ragazza in blu

Il 12 marzo scorso la polizia religiosa degli ayatollah ha fermato Khodayari allo stadio, avvolta in un lungo soprabito e con in testa una parrucca blu – sempre in omaggio alla sua squadra – per cercare di mimetizzarsi tra gli uomini. A tradirla è stata forse anche una sua foto sulle tribune inviata alla sorella. Quel giorno, la sua squadra sfidava gli emiratini dell’Al Ain nella Champions League asiatica. Ma per lei la partita s’è interrotta.

Qualcuno l’ha notata ed è stata fermata. Dopo aver trascorso tre notti nel carcere femminile di Gharchak Varamin a Teheran – pessima fama tra le ong quanto a condizioni di detenzione – era stata rilasciata, ma le era stato sequestrato il cellulare. Quando e’ andata a farselo restituire, ha saputo che in prigione rischiava di tornarci e non ha resistito.

Il caso della tifosa aveva suscitato forte indignazione sui social e riportato in primo piano le polemiche sul divieto. E anche alcune star del calcio locale si erano schierate. L’ex giocatore del Bayern Monaco Ali Karimi – 127 partite con la nazionale – aveva invitato i tifosi a boicottare gli stadi, mentre Andranik Teymourian, primo capitano cristiano dell’Iran, aveva auspicato di vedere un giorno uno stadio a Teheran intitolato alla ventinovenne Sahar Khodayari.

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