Naomi Klein al Guardian: «La crisi climatica mette in crisi anche la sinistra»
«Il mondo è in fiamme», serve un Green New Deal. Naomi Klein, giornalista, scrittrice e attivista canadese, ha lanciato con il suo ultimo libro, in uscita il 19 settembre, un appello a una rivoluzione, a un profondo cambiamento di regime per fermare il cambiamento climatico. Ecco come l’ha raccontato a Natalie Hanman del Guardian.
Perché hai scelto di pubblicare questo libro ora?
«Penso che il modo in cui parliamo del cambiamento climatico sia a compartimenti stagni, trattiamo troppo spesso la questione isolandola dalle altre crisi che stiamo vivendo. Un tema molto forte del libro è il legame tra la crisi ambientale, il crescente suprematismo bianco, le varie forme di nazionalismo, il fatto che molte persone siano forzate a lasciare la loro terra e la guerra che si combatte sui nostri tempi di attenzione. Sono crisi interconnesse e anche le soluzioni devono esserlo».
Il libro raccoglie saggi che hai scritto nell’ultimo decennio, nel frattempo hai cambiato idea su qualcosa?
«Quando mi guardo indietro, mi sembra che non abbiamo enfatizzato abbastanza il fatto che la crisi climatica rappresenta una sfida anche per la sinistra. Il fatto che il cambiamento climatico metta in crisi la visione del mondo della destra è evidente, così come quella del centrismo che rifiuta grandi cambiamenti ma si accontenta di dividersi quello che rimane. Ma la crisi ambientale mette in crisi anche la concezione del mondo della sinistra, che è essenzialmente interessata alla redistribuzione del bottino dell’«estrattivismo» (la pratica di estrarre risorse naturali dalla terra) senza preoccuparsi dei limiti di un consumo senza fine».
Che cos’è che impedisce alla sinistra di farlo?
«Negli Stati Uniti, non c’è taboo più grande dell’ammettere che ci saranno dei limiti. Guarda Fox News, che ha reagito al Green New Deal affermando: «Ci vogliono togliere gli hamburger!» La consapevolezza che ci sia un limite colpisce il cuore del sogno americano, che si fonda sul presupposto che ogni generazione avrà più di quella precedente e che ci sarà sempre una nuova frontiera oltre alla quale potremo espanderci. Quindi la risposta della sinistra all’evidenza che ci saranno dei limiti è stata quella di rassicurare i consumatori, affermando che la transizione porterà moltissimi benefit».
Molti criticano il movimento ambientalista per essere molto «bianco», cosa ne pensi?
«Se un movimento rappresenta il settore più privilegiato della società, l’attitudine sarà molto più restia al cambiamento. Chi ha molto da perdere tende a essere più reticente al cambiamento, mentre chi ha molto da guadagnare tende a battersi più coraggiosamente. Negli anni ho parlato con molti ambientalisti che sembrano credere che legare la lotta al cambiamento climatico a quella alla povertà o al razzismo rappresenterebbe un’ulteriore difficoltà».
«Dobbiamo liberarci di questa retorica «la mia crisi è più grande della tua: prima salviamo il pianeta poi combattiamo la povertà, il razzismo, e la violenza contro le donne.» Non funziona così. Aliena quelle persone che sono disposte a lottare più di tutti contro il cambiamento climatico. Questo dibattito ha preso una piega nettamente diversa negli Stati Uniti dopo che la leadership del movimento per la giustizia climatica è stata presa da parlamentari di colore che promuovono il Green New Deal. Alexandria Ocasio-Cortez, Inlhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib vengono da comunità che hanno pagato un caro prezzo durante gli anni del neoliberismo e sono determinate a rappresentare gli interessi della loro gente. Non sono spaventate da grandi cambiamenti perché le loro comunità ne hanno disperatamente bisogno».
Nel libro scrivi «La dura verità è che la risposta alla domanda ‘Cosa posso fare come individuo per fermare il cambiamento climatico?’ è ‘Niente’». Ci credi ancora?
«In termini di emissioni di carbonio, le nostre decisioni individuali non cambieranno nulla vista la portata del cambiamento di cui abbiamo bisogno. Il fatto che per molte persone parlare dei propri consumi individuali sia più rassicurante che parlare di un cambiamento sistemico è un prodotto del neoliberismo: siamo stati addestrati a percepirci come consumatori. Per me il vantaggio di utilizzare espressioni come «New Deal» o «Piano Marshall» è che ci riporta a un tempo in cui siamo stati capaci di pensare a grandi cambiamenti sistemici».
La versione originale di questa intervista è stata pubblicata su The Guardian con il titolo «Naomi Klein: ‘We are seeing the beginnings of the era of climate barbarism». È stata ripubblicata qui nel contesto della partnership di Open con Covering Climate Now, una collaborazione globale di più di 250 testate giornalistiche volta a rafforzare la copertura mediatica della questione climatica.
Leggi anche:
- La più grande base navale Usa sta affondando. La “colpa” è del riscaldamento globale (e il Governo Usa non fa nulla)
- Scioperare per il clima serve? Sì, manifestare contribuisce a cambiare le norme sociali
- Clima, Mattarella firma per il vertice Onu: «Sfida chiave del nostro tempo»
- Dal Monte Bianco al Gran Sasso: l’Italia che si scioglie
- Fridays for future: quattro ragioni «elementari» per combattere il cambiamento climatico
- Verso il 23 settembre: di cosa tratterà il Summit dell’Onu sul clima
- Quando il ritorno a scuola è un thriller: il filmato realizzato dalle famiglie delle vittime di Sandy Hook – Il video
- Germania, cosa c’è di concreto nell’accordo sul clima: più cari benzina e diesel, giù le tariffe dei treni