Università, da dove arrivano i laureati più richiesti dalle aziende: quali sono gli atenei italiani in classifica
Se Mit e Stanford sono troppo lontane dall’Italia, ci sono anche il Politecnico di Milano e l’Università degli Studi di Bologna che possono offrire buone opportunità lavorative ai loro laureati. Lo rivela il QS World University ranking, la classifica degli atenei mondiali stilata come ogni anno dal Quacquarelli Symond, think-tank della formazione superiore.
Le prime tre al mondo in quanto a performance professionali dei suoi laureati sono tutte americane. Massachusetts Institute of Technology, Stanford e University of California Los Angeles. Seguono Sydney e Harvard e al sesto posto troviamo la cinese Thsingua Univeristy.
I primi due atenei europei ad apparire nella lista sono Cambridge e Oxford, rispettivamente all’ottavo e nono posto. Per il primo risultato italiano bisogna invece scendere alla quarantunesima posizione, dove troviamo il Politecnico di Milano. Rispetto all’anno scorso, l’ateneo milanese è sceso di 5 posizioni, ma si mantiene in testa alla classifica.
In netta crescita è invece l’università di Bologna, che passa dallo scaglione 111-120 all’ottantaquattresima posizione a livello mondiale, seguita dalla Sapienza di Roma, novantatreesima. Tra le prime 250 università al mondo in termini di ingresso dei suoi laureati nel mercato del lavoro troviamo anche l’università di Padova (151-160), quella di Pisa (161-170) e la Statale di Milano (201-250).
I criteri
Per stilare la sua classifica, QS ha utilizzato i risultati di un questionario distribuito a vari datori di lavoro, in cui si chiedeva di indicare da quali atenei provengano i loro dipendenti più competenti, innovativi ed efficaci.
Un altro dato utilizzato è stato estratto dall’analisi di 40.000 individui al mondo considerati «di successo»: imprenditori o filantropi, creativi e tendenzialmente ricchi, «per stabilire quali università formino questi individui che cambiano il mondo».
Il restante coefficiente è determinato dal numero di collaborazioni tra le università e le imprese e solo il 10% dipende dal numero di laureati che a un anno dalla laurea hanno trovato un lavoro, sia a tempo pieno che part-time.
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