Caso Cucchi, il pm: «Stefano è morto per una violenta caduta, causata dal pestaggio»
Si è aperta la requisitoria del pm Giovanni Musarò, l’atto conclusivo del processo per lesioni ed omicidio preterintenzionale, oltre che per falso, nei confronti di cinque carabinieri, tutti coinvolti a vario titolo nella morte di Stefano Cucchi, avvenuta dieci anni fa.
L’intervento del pm durerà due udienze, da qui al prossimo 3 ottobre, quando il magistrato depositerà anche una memoria riassuntiva.
Nell’aprire la discussione, Musarò ha criticato la gestione del primo processo, quello che vide sul banco degli imputati agenti della penitenziaria e medici dell’ospedale Sandro Pertini e si concluse con l’assoluzione degli agenti.
Quel processo, ha detto il magistrato è stato «un processo kafkiano, frutto di uno scientifico depistaggio, iniziato con un verbale d’arresto falso, sottoscritto dal maresciallo Mandolini».
La storia dell’inchiesta
Anche se il dibattimento è iniziato solo nel 2017 è dal 2014 che le indagini raccolgono elementi contro i carabinieri, sebbene inizialmente in termini molto generici. Il primo a parlarne è stato un detenuto di Rebibbia, Luigi Lainà, che ha passato con Stefano Cucchi la sua unica notte in carcere. Il geometra era già coperto di lividi, viola come una melanzana, dice sempre Lainà: «Gli chiesi chi l’aveva conciato così, mi disse che erano stati i carabinieri che si erano proprio divertiti. Pure a me m’hanno massacrato ma mai a quel livello. A quel livello deve essere stato un folle o più folli o una persona senza scrupoli»
Il secondo elemento che ha dato una svolta alle indagini è stata testimonianza del carabiniere Riccardo Casamassima. Il militare, nel 20015, contatta l’avvocato della famiglia di Stefano Cucchi, Fabio Anselmo. «Lui lo sente e ci porta il verbale in procura, subito dopo lo ascolteremo noi», spiega il pm Musarò.
La sintesi delle parole di Casamassima è ormai nota. Mentre si trovava nella stazione Tor Sapienza, nell’ottobre del 2009, nella tarda mattinata, avrebbe assistito allo sfogo del maresciallo Mandolini: «Arriva il maresciallo Mandolini e mi dice “E’ successo un casino, i carabinieri hanno arrestato uno e lo hanno massacrato”, aggiunse che “stavano cercando di scaricare la responsabilità su quelli della penitenziaria e non sapevano come fare”».
Le intercettazioni
Le intercettazioni tra i carabinieri indagati sono state uno dei più importanti indizi per ricostruire quanto fosse accaduto al giovane geometra romano. «Le lesioni più gravi sono state prodotte dalla caduta di Cucchi, dopo un violentissimo pestaggio”, ha detto il magistrato: «Quella caduta – spiega Musarò – è costata la vita a Stefano Cucchi, si è fratturato due vertebre. Lui stesso, a chi gli chiese cosa fosse successo, disse: “Sono caduto”». E in effetti fin dalla prima indagine solo sul maresciallo Mandolini per falsa testimonianza, quelli che poi diverranno gli imputati danno l’elemento decisivo. Con una frase, dice il magistrato, pensata per essere elusiva: «Ti ricordi che Cucchi non si fece fare il fotosegnalamento e si buttò per terra?».
L’ombra dell’altra inchiesta
Ma al di là della ricostruzione minuziosa in aula dei principali passaggi dell’inchiesta, quel che pesa nella prima parte della requisitoria (per l’occasione trasferita nell’aula bunker e non più a piazzale Clodio) è l’esistenza, parallelo a questo processo, dell’inchiesta sul depistaggio che ha portato lo stesso pm Musarò a risalire la scala gerarchica che per anni avrebbe occultato gli elementi di prova che potevano portare ai carabinieri. Un passaggio che, come ricordano le intercettazioni e i verbali letti in aula, era chiaro ai carabinieri coinvolti fin dall’ottobre 2009.
La sorella di Stefano, Ilaria, era presente in aula. E ha scritto un post su Facebook: «Oggi comunque vada, mentre sto ascoltando il PM Musaró sto facendo pace con quest’aula».