Eutanasia, Mina Welby: «Una battaglia di civiltà e laicità. Combattiamo per una legge»
«Io vorrei ribadire quello che Piergiorgio ha sempre detto: la morte deve essere possibile quando la persona vuole uscire dal corpo perché il corpo non ce la fa più, diventa troppo pesante per la persona». Sono queste le parole di Mina Welby, moglie di Piergiorgio Welby, nel giorno di “Liberi fino alla fine”, la manifestazione a favore dell’eutanasia legale organizzata dall’associazione Luca Coscioni, organizzata nella capitale.
«È una battaglia di civilà e laicità, questa è l’eutanasia che vogliamo e che deve essere a volte procurata con una somministrazione di una medicina da parte del medico», ha affermato Mina Welby che dopo la morte del marito ha continuato a impegnarsi sui temi dell’autodeterminazione e delle scelte di vita e fine vita. Spero davvero che possiamo andare avanti con le nostre battaglie e che venga fatta una legge.
«Avevamo l’obiettivo di tirare fuori dai corridoi e dai palazzi questo dibattito e adesso sappiamo solo che è più urgente farlo – ha detto Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Coscioni -. Sono 800 le persone che si sono rivolte a Mina Welby e a me per chiedere di poter morire e molte di loro avrebbero potuto prendere una decisione diversa se fossero state assistite da un medico, uno psichiatra, un assistente sociale».
Da piazza Don Bosco a Roma – il luogo in cui si è tenuto il funerale laico di Piergiorgio Welby – Cappato ha infine ricordato le parole del leader dei Radicali Marco Pannella ai tempi delle battaglie per il divorzio e l’aborto: «I nostri veri nemici sono gli indifferenti».
«I nostri nemici – ha quindi sottolineato – sono quelli che dicono di essere d’accordo con noi e magari per sei anni non hanno mosso un dito per ottenere una legge per vivere liberi fino alla fine». «A sei anni dal deposito della proposta di legge di iniziativa popolare “EutanasiaLegale” – ha concluso Cappato – chiediamo al Parlamento di farsi vivo».
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