Scuola, anche per il sostegno le scuole ricorrono a neolaureati e diplomati. E i numeri crescono
Anno nuovo, problemi vecchi. Le scuole hanno riaperto da pochi giorni e le emergenze nel campo dell’insegnamento tornano a dipingere un Paese troppo spesso inadeguato. A mostrare la fotografia più impietosa è l’ambito del sostegno: tra scarsità di professionisti, carenza di ore garantite e poche certezze di continuità nel rapporto docente-alunno, la situazione è tutt’altro che rosea.
L’ultimo esempio arriva dal Veneto, dove una mamma con figlio gravemente disabile non ha trovato nessun insegnante specializzato nel sostegno ad accogliere il ragazzo durante il primo giorno di scuola. Dopo un confronto con il preside, la donna è riuscita a guadagnare 3 ore di assistenza giornaliera, che non garantiscono comunque una permanenza sufficiente nell’ambiente scolastico.
Secondo quanto riportato dal Gazzettino di Venezia, le scuole venete sono partite impreparate per l’anno scolastico. Il problema, però, non sembra essere solo la disorganizzazione della dirigenza, quanto la scarsità di personale a disposizione. Sempre più spesso le scuole fanno ricorso a supplenti senza abilitazione, e il mestiere dell’insegnante di sostegno continua imperterrito a battere la via del precariato.
Le conseguenze negative sono innumerevoli. Oltre alla creazione di un mestiere precario (come è d’altronde quello del supplente), c’è l’impossibilità da parte degli alunni e delle famiglie di poter giovare di un percorso di insegnamento che non sia discontinuo. Oltretutto, data la carenza, molti tra i docenti vengono scelti tra le “messe a disposizione”, liste di curriculum che comprendono spesso candidati non specializzati o non formati completamente.
Qualche numero sugli studenti
Stando ai dati forniti dal Miur, in Italia gli alunni con sostegno che frequentano le scuole primarie e secondarie di primo grado sono poco più di 165 mila (3,7% degli alunni iscritti). Il problema più frequente è la disabilità intellettiva che riguarda il 46% degli alunni con sostegno. Per quanto riguarda i disturbi dello sviluppo e quelli del linguaggio, sono rispettivamente il 25% e 20%.
Il Miur ha rilevato che gli insegnanti per il sostegno sono circa 156 mila, con un rapporto di 1,5 alunni per insegnante. Ad essere più fornite di professionisti sono le regioni del Mezzogiorno, che risultano migliori anche dal punto di vista delle strutture.
Anche secondo l’ultimo report sull’inclusione scolastica (riferito all’anno 2017/2018) elaborato dall’Istat, le difficoltà per gli studenti con disabilità sono notevoli. Soltanto il 32% delle scuole risulta accessibile dal punto di vista delle barriere fisiche (meno di una su tre), e solo il 18% degli istituti è a norma per quanto riguarda le barriere senso-percettive che ostacolano gli spostamenti delle persone con limitazioni sensoriali.
Perché c’è carenza
Il problema si pone dunque perché non ci sono abbastanza specializzati? Non proprio. La questione, come spesso accade nel settore pubblico (come la Sanità), sono i posti banditi dai Ministeri. Non è un caso, infatti, se la strada del precariato sembra ormai camminare parallelamente a quella dell’assegnazione delle cattedre, che per ora resta a ostacoli.
Il precedente ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, appena insediato al Ministero, aveva annunciato l’apertura di 40mila posti nei corsi di specializzazione. La prima tranche di 14mila è partita a marzo del 2019, e il progetto, dopo la caduta del governo, è ora da portare avanti.
Sul gruppo Facebook “Dillo al ministro Fioramonti“, un gruppo di aspiranti insegnanti di sostegno abilitati (che si sono visti «chiudere brutalmente la porta in faccia a causa un mero numero posti prestabilito dal precedente Ministero») si sono impegnati per proporre una chiave di svolta direttamente al neoministro dell’Istruzione. L’idea è quella di «pensare a un percorso ad hoc per permettere agli idonei rimasti fuori di ottenere la specializzazione ed entrare in classe il prima possibile».
Come si diventa insegnanti di sostegno
Il percorso ufficiale, quello che permette all’insegnante di poter accedere alla specializzazione, parte dai titoli di studio e varia per i vari gradi scolastici. Secondo quanto riportato nel bando successivo alle modifiche sulla Buona Scuola (avvenute nella legge di Bilancio 2019), per svolgere la professione nelle scuole d’infanzia è necessaria innanzitutto una Laurea in Scienze della Formazione Primaria (o analogo titolo riconosciuto all’estera), o in alternativa un diploma magistrale con valore di abilitazione e diploma sperimentale a indirizzo linguistico conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.
Se si vuole diventare insegnanti di sostegno alle scuole medie e superiori, invece, bisogna essere in possesso di un’abilitazione per l’insegnamento, o di una laurea magistrale idonea all’accesso a una classe di concorso, con l’aggiunta di 24 CFU in materie socio-psico-pedagogiche.
Si arriva quindi alla questione specializzazione. Per ottenere il titolo, c’è bisogno di iscriversi ai corsi sul sostegno che ogni anno bandiscono un determinato numero di posti. Una volta superate le prove d’ammissione (3 scritte e 1 orale) e completato il corso, è necessario trovare e portare a termine un anno di tirocinio (di base una supplenza), al termine del quale si viene assunti di ruolo.
L’alternativa Mad
Il percorso è però, come visto, tutt’altro che lineare, data la scarsità di posti banditi per accedere ai corsi di specializzazione. Ma mentre le aule scarseggiano di insegnanti di sostegno, le segreterie degli istituti pullulano di candidati, richieste e curriculum. Sono le cosiddette «messe a disposizione» (Mad), che costituiscono una strada alternativa alle graduatorie e ai concorsi per entrare nel mondo dell’insegnamento. Ed è qui che la maggior parte delle scuole attinge per soddisfare la carenza.
Possono avvalersi delle Mad tutti coloro che sono in possesso del titolo di studio richiesto per ricoprire il ruolo per il quale ci si candida – anche se la laurea può passare in secondo piano in caso di massima carenza.
Anche per quanto riguarda la domanda per la messa a disposizione nel sostegno, l’abilitazione all’insegnamento non è necessaria. Secondo l’Istat, più di un insegnante di sostegno su tre non ha la specializzazione: «Il 36% degli insegnanti per il sostegno – si legge – viene selezionato dalle liste curriculari poiché la graduatoria degli insegnanti specializzati per il sostegno non è sufficiente a soddisfare la domanda».
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