Brexit, Johnson rilancia l’ultimatum al parlamento: «Fate cadere il governo e subito al voto»
Dopo la sentenza della Corte suprema inglese ha bocciato la prorogation – la sospensione temporanea del parlamento britannico voluta da Boris Johnson – ritenendola illegale, ecco che il primo ministro è stato costretto a tornare alla svelta da New York per difendere il suo esecutivo in parlamento nel primo mercoledì dopo la sua riapertura. Ma con una strategia peculiare: chiedere la fine del suo esecutivo. Si perché mentre i laburisti vorrebbero usare le settimane prima della scadenza per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea – la Brexit è prevista il 31 ottobre – per costringere il Primo ministro a chiedere un’ulteriore estensione all’Ue (la terza, fino al gennaio del 2020), come votato dal parlamento prima della chiusura, Johnson punta tutto sul ritorno immediato alle urne, in modo tale da scongiurare questa ipotesi.
La strada della Brexit a tutti i costi il 31 ottobre
In parlamento il primo ministro ha più volte respinto le richieste di dimissioni che arrivavano dai banchi dell’opposizione. Alcuni deputati – del partito nazionale gallese Plaid Cymru – hanno anche evocato l’impeachment per Johnson. Niente dimissioni, elezioni subito: questo è il mantra che Johnson va ripetendo. Senza però dare chiare indicazioni sul “no deal”, sull’uscita senza accordo. Secondo Johnson, con circa un mese dalla scadenza, il Regno Unito sarebbe ancora in tempo per trovare un nuovo accordo con l’Unione europea: il premier ha più volte rassicurato che un accordo è possibile perché l’Ue è almeno disposta a «discutere» di alternative al backstop sul confine irlandese, promettendo anche in questo caso avrebbe chiesto la sua approvazione dal parlamento prima della scadenza.
September 25, 2019
Il leader dei laburisti, Jeremy Corbyn, è tra coloro che vanno chiedendo le dimissioni del premier. Durante il congresso del suo partito – terminato mercoledì 25 settembre – ha prevalso la linea di Corbyn di neutralità in merito alla Brexit, ma favorevole a un secondo referendum. Sempre che l’alternativa alla permanenza nell’Unione, sia un accordo ritenuto credibile.
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