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Clima, l’attivista di Extinction Rebellion Daze: «Possiamo solo contenere i danni. Ma siamo già in ritardo» – L’intervista

06 Ottobre 2019 - 12:16 Giulia Marchina
«Sto girando un documentario che possa servire ai miei coetanei a capire il problema e a comportarsi di conseguenza», dice

Daze Aghaji ha 19 anni, è un’ambientalista di origini britanniche e studia Storia e Scienze politiche all’Università Goldsmiths di Londra. È una degli ospiti chiamati a dibattere sulla questione “cambiamento climatico” al Festival di Internazionale, a Ferrara, che si concluderà oggi (nel programma il suo intervento è previsto alle 4 e mezza).

Racconta ad Open di aver cominciato a interessarsi all’ambiente quando si è trasferita da Londra, in un piccolo villaggio rurale del Lincolnshire, vicino al mare.

«Lì è dove per la prima volta ho provato cosa volesse dire interessarsi al pianeta, complici anche i miei genitori che mi hanno insegnato a prendermi cura delle piante e degli animali con cui, di fatto, convivevamo visto che abbiamo galline, gatti, cani e mucche», dice.

«Avere un contatto così diretto con la natura, ha fatto scattare qualcosa in me, e allo stesso tempo ho cominciato ad accorgermi di quanto le azioni umane stiano distruggendo gli ecosistemi che ora iniziano a collassare. Non potevo restarmene lì, senza fare nulla». 

Com’è cominciata, dunque, la tua battaglia per l’ambiente?

«Ero un’ambientalista “light”, se così possiamo dire: non mi sforzavo più di tanto. Usavo meno plastica, avevo adottato una dieta vegetariana per affrancarmi dai problemi legati all’allevamento e al consumo intensivo di carne, facevo questo genere di cose. Poi lo scorso anno, dopo un momento di scoramento, in cui non riuscivo a vedere una via d’uscita ma allo stesso tempo mi sentivo pronta a impegnarmi di più sul fronte ambientalista, una mia amica, all’università, mi ha parlato di Extinction Rebellion, il movimento socio-politico non violento per evitare i cambiamenti climatici. Il resto è storia» (Nel 2019, Daze si è candidata al Parlamento europeo con la lista Climate and ecological emergency, ndr).

Collaborerai con la tua Università a qualche progetto per intensificare l’attività di ambientalista e far conoscere a più studenti possibili quali sono le criticità legate al cambiamento climatico?

«Con una certa tristezza devo ammettere che no, con la Goldsmiths non abbiamo nessuna collaborazione in programma. Non è un’università aperta all’attivismo, di qualunque genere esso sia. Certo è che non le basterà mettere al bando la sola carne di mucca (ad agosto l’Università ha deciso di interrompere per sempre la distribuzione della carne di manzo dall’ateneo per ridurre l’impatto ambientale, ndr) per cambiare le cose, sarà il caso che affronti la realtà e si inventi qualcosa per poter rendere consapevoli i ragazzi dei cambiamenti ambientali che ci aspettano e per poterli educare in modo che siano loro, in prima persona, a impegnarsi per contenere i danni».

Pensi che la situazione rimarrà così?

«Vorrei offrire un ramoscello di ulivo alla Goldsmiths e chiederle di collaborare. Insieme potremmo fare la differenza. Onestamente credo però non cambierebbe nulla, il mondo universitario non è ancora pronto». 

Parliamo dell’attivista ambientale più giovane e nota del momento: Greta Thunberg. La conosci? Cosa pensi del suo lavoro?

«Non la conosco personalmente ma devo ammettere sia grandiosa! È riuscita a rendere un tema delicato come quello dell’ambiente la ragione di vita di tantissimi ragazzi. Giovani che ora si riuniscono a scuola, nelle assemblee per cercare soluzioni, per far sentire la loro voce, per dare una lezione di vita agli “adulti”. Penso che da una come Greta si possa solo trarre ispirazione, specie per come affronta l’odio altrui. È pazzesca, veramente». 

Come vedi il futuro del Pianeta? Credi sia possibile salvarsi da danni irreparabili?

«Penso si possano solo contenere i danni perché il cambiamento è in atto ed è distruttivo, soprattutto nel sud del Pianeta. Contenere distruzione ambientale, cataclismi, estinzioni in massa di animali, collassi generali degli ecosistemi, significa agire. Ma agire ora, non poi. Perché “poi” è già tardi e, come sappiamo, siamo già in ritardo. Per farlo, inutile dirlo, tutto deve partire dal singolo: le nostre scelte pregiudicano l’andamento delle cose. E dovremmo chiedere anche qualche spiegazione ai “grandi” del pianeta che stanno distruggendo tutto, dovremmo presentar loro il conto».

Progetti per il futuro?

«Sto girando un documentario insieme ad altri miei coetanei sul tema dell’ambientalismo: sarà una specie di corso accelerato per i ragazzi della nostra età,su quello che ci accade intorno e su cosa dobbiamo lavorare per migliorare la vita sul pianeta». 

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