Siria, Trump ritira le truppe americane. Erdogan non perde tempo: raid aerei contro le forze democratiche siriane
A poche ora dall’annuncio del ritiro statunitense dalla Siria, la Turchia ha sferrato un raid aereo contro le Forze democratiche siriane (Sdf) nei pressi di al-Malikiyah, nel governatorato di al-Hasakah, nell’estremo nord-est della Siria, vicino al confine con l’Iraq. Lo ha riferito la televisione libanese Al-Mayadeen, precisando che sono stati distrutti due ponti e colpita una base delle Sdf. Colpi d’artiglieria sono stati sparati anche contro il valico di Semalka.
Il ritiro
Le truppe americane in Siria si allontaneranno dal confine turco perché Ankara «attuerà presto un’operazione militare pianificata da tempo». Lo ha reso noto la Casa Bianca dando conto di un colloquio telefonico tra il presidente americano, Donald Trump, e il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan. L’Onu ha dichiarato di «prepararsi al peggio».
«Le forze statunitensi non sosterranno né saranno coinvolte nell’operazione e le truppe Usa, che hanno sconfitto il califfato territoriale dello Stato islamico, non saranno più nelle immediate vicinanze», ha affermato la Casa Bianca senza fornire dettagli sull’operazione turca.
Anche il Presidente americano, dal suo profilo Twitter, ha confermato il ritiro statunitense: «I curdi hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati molti soldi e hanno ricevuto l’equipaggiamento per farlo. Hanno combattuto la Turchia per decenni. Si sono trattenuti da questo scontro per tre anni. Ma è tempo per noi di uscire da queste ridicole guerre infinite, molte di loro tribali, e portare i nostri soldati a casa», scrive Trump che ribadisce: «Combatteremo dove sarà di beneficio per noi, e combatteremo solo per vincere».
L’avvertimento di Erdogan
Martedì il capo di Stato turco aveva dichiarato che la Turchia stava esaurendo la pazienza con gli Stati Uniti per la creazione di una zona di sicurezza nel nord della Siria, minacciando l’incombente un’operazione militare. «A questo punto, non abbiamo altra scelta che continuare sulla nostra strada», aveva annunciato Erdogan in un discorso televisivo.
La zona cuscinetto – la cosiddetta “safe zone” pattugliata da Usa e Turchia dal 4 ottobre – si trova tra il confine turco e le aree siriane controllate dalla milizia curda delle Unità di protezione popolare (Ypg), precedentemente sostenute dagli Usa, sulle quali Washington fece affidamento per combattere l’Isis. I curdi rappresentavano per gli Stati Uniti un’ottima opzione per controllare il confine con l’Iraq e mettere pressione all’Iran, ma gli attuali obiettivi di Trump guardano più in là del Medio Oriente (Russia e Cina).
Ankara considera la milizia curda un’organizzazione «terroristica», ritenuta l’ala siriana del Pkk, il partito fondato da Abdullah Ocalan, attualmente detenuto in Turchia. Il presidente Erdogan ha più volte ribadito che la Turchia vuole eliminare le postazioni dei curdi siriani del Ypg lungo il confine con il proprio Paese, anche nel caso non fosse arrivata la collaborazione degli Usa.
La conferma del presidente turco
Erdogan ha confermato il ritiro dei militari americani dal nord della Siria. «Dopo la telefonata di ieri con il presidente americano Trump il ritiro americano è passato dalle parole ai fatti. Ho detto a Trump chiaramente che siamo pronti a entrare in Siria in qualsiasi momento», ha spiegato il capo di Stato turco ai giornalisti, prima di partire per la Serbia.
«In Siria – ha aggiunto Erdogan – ci sono i terroristi dell’Isis detenuti dagli Usa, rispetto ai quali i media hanno fornito numeri esagerati. Ora questi detenuti saranno trasferiti rapidamente, ho dato istruzioni precise in questo senso». Erdogan ha poi annunciato che a metà mese è probabile una sua visita negli Stati Uniti per fare il punto della situazione in Siria e sull’acquisto dei jet da guerra F35 da parte di Ankara.
«Dall’inizio della crisi in Siria abbiamo sostenuto l’integrità territoriale di questo Paese e continueremo a sostenerla. Siamo determinati ad assicurare la sopravvivenza e la sicurezza del nostro Paese liberando la regione dai terroristi», ha scritto su Twitter il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.
Have supported the territorial integrity of #Syria since the beginning of the crisis and will continue to do so. Determined to ensure survivability and security of #Turkey by clearing the region from terrorists. Will contribute to bringing safety,peace&stability to Syria.
— Mevlüt Çavuşoğlu (@MevlutCavusoglu) October 7, 2019
La replica dei curdi
I curdi delle Ypg hanno replicato che se le truppe turche entrano «sarà guerra totale». Venerdì 4 ottobre, i funzionari anonimi del Pentagono e del Dipartimento di Stato avevano rivelato al Wall Street Journal che «ci sono segnali evidenti» che l’operazione è prossima: «Una tempesta perfetta, davvero brutta: non avremmo altra scelta che ritirarci».
Gli Usa hanno ancora più di 1000 militari nella zona, ma a questo punto è chiaro la ritirata di Trump condanna i curdi alla rappresaglia turca. Erdogan ha anche annunciato la creazione di nuove città e villaggi dove reinsediare un milione di rifugiati siriani arabo-sunniti per trasformare i curdi in una minoranza lungo la frontiera.
Il progetto di relegare i curdi dell’autoproclamata regione del Rojava a minoranza lungo la frontiera è testimoniata anche dalla recente firma di un decreto relativo l’istituzione di tre facoltà universitarie nel nord della Siria, che dipenderanno dall’ateneo di Gaziantep.
Il decreto è comparso sulla gazzetta ufficiale turca il 4 ottobre, rendendo nota la decisione di istituire la facoltà di studi islamici nella città di Azaz, di Scienze dell’educazione ad Afrin e di Scienze dell’amministrazione ad Al Bab. Si tratta, in tutti e tre i casi, di città del centro-nord della Siria, assai vicine al confine turco-siriano e liberate da operazioni militari turche tra il 2017 e il 2018.
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