Andrea Tanzini, un ragazzo italiano al World Economic Forum. Come cambiare il mondo partendo dalla provincia
Il World Economic Forum è il momento in cui ogni anno a Davos, in Svizzera, manager di aziende multinazionali, scienziati e giornalisti fanno il punto sulle tendenze globali che lasciano intravedere come sarà il futuro. All’inizio del 2019 nella lista degli invitati c’era anche Greta Thunberg, l’attivista svedese che il 27 settembre ha portato in piazza centinaia di migliaia di studenti.
La costola giovane del World Economic Forum è rappresentata dai Global Shapers, circa 8mila giovani sparsi in circa 50 Paesi che fanno volontariato per coinvolgere ragazzi e ragazze nei cambiamenti che avvengono a livello globale.
Fra questi c’è Andrea Tanzini che l’8 ottobre sarà l’unico italiano presente a Monaco in un incontro dove verranno preparati dei documenti sul ruolo dei giovani nei macrocambiamenti che stanno sconvolgendo il mercato del lavoro.
26 anni, laureato in ingegneria dell’automazione al Politecnico di Milano, Andrea lavora per Cannon Group, azienda che si occupa di impianti industriali in diversi settori. Da anni è coinvolto in iniziative che si occupano di diffondere la cultura dell’innovazione e informare su come sta cambiando il mercato del lavoro con lo sviluppo dell’industria 4.0.
Cosa vuol dire essere un Global Shaper?
«Vuol dire far parte della community del World Economic Forum dedicata ai giovani per coinvolgere i nostri coetanei nelle decisioni che vengono prese a livello globale. Siamo divisi in circa 400 Hub, punti di aggregazione nelle città più grandi. In Italia ce ne sono cinque».
Chi fa parte di questo gruppo?
«I background sono diversi. Più sono variegati meglio è. L’idea è risolvere problemi globali con un’ottica locale. Realizziamo progetti tenendo conto dei Sustainable Development Goals, le linee guida tracciate dall’Onu per uno sviluppo sostenibile».
Al momento su cosa state lavorando?
«Con i ragazzi della Hub di Milano abbiamo avviato un contest dedicato ai giovani dal titolo ShapeMi. I partecipanti hanno potuto pensare a qualsiasi tipo di progetto per migliorare la loro città. A metà ottobre faranno un hackaton per presentare almeno un embrione della propria idea.
Oltre a questo, organizziamo diversi incontri nelle scuole per parlare di rivoluzione industriale. Sotto ogni aspetto. Poco tempo fa, con una classe del liceo Leonardo Da Vinci di Milano abbiamo affrontato le conseguenze che potrebbe avere la robotica nel futuro a livello sociale. È stato fantastico vedere come dei giovani liceali siano riusciti a declinare un tema così complesso nelle più varie sfaccettature: hanno persino parlato di come anche “il mestiere più antico del mondo” potrebbe non essere al sicuro dal cambiamento, portando alcuni esempi attuali in Giappone».
Perché hai deciso di aderire a questo progetto?
«Mi sono reso conto di quanto il mondo sia diventato complesso e non si possa risolvere tutto stando nel proprio spazio. Ho iniziato a studiare quanto la tecnologia, industria 4.0, l’intelligenza artificiale, vadano davvero a influire nella società e nel modo in cui le persone vivono.
Sono partito dalla provincia, da un’associazione che ho fondato a Paderno Dugnano, vicino a Milano, e poi ho esteso questa ricerca in grande. Informandomi ho conosciuto i Global Shaper. Sono entrato in contatto con loro e alla fine mi hanno preso. Avevo bisogno di essere lo stupido nella stanza».
Di cosa parlerete nell’incontro di Monaco?
«Il tema principale su cui lavoreremo sarà quello del settore manifatturiero. L’obiettivo è quello di trovare un modo per chi ci lavora di formarsi per evitare di perdere il posto con l’arrivo delle nuove tecnologie e, soprattutto, capire quali sono i modi in cui i giovani possono entrare in questo settore».
Quali sono i problemi princiapali di questo settore, soprattutto per i giovani?
«Noi siamo abituati di parlare di flessibilità. Il mondo manifatturiero ha ancora il grande problema di essere molto rigido e non è facile cambiarlo. Le micro-imprese, come le tante che ci sono in Italia, hanno bisogno che tutti siano lì. Lo smart working è difficile da gestire come idea.
Un’azienda che si occupa di sviluppare software in questo senso è più facile da gestire. Per lavorare basta un buon cervello e un pc. Per rendere più flessibile il settore manifatturiero è necessaria un’analisi di tutto un processo, dai materiali alla logistica».
Una delle scelte più importanti che i giovani si trovano a fare oggi è quella dell’università. Guardando al futuro, un ragazzo come dovrebbe scegliere il suo percorso?
«Non è banale come si pensa. Non basta puntare su una facoltà scientifica. Anche io penso che ci servano molti ingegneri e forse, in tanti, non scelgono questa facoltà perché manca di sex appeal ed è difficile da portare avanti.
Gli ingegneri però non bastano per tutto. Il mio compito è dire, come ingegnere, come arrivare. Ma dove arrivare non è compito mio. Servono tanti umanisti, tante persone in grado di analizzare problemi complessi e pensare a una direzione. I ragazzi poi hanno bisogno di essere ragazzi e fare quello che fanno con passione».
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