M5s, nessuno sconto ai dissidenti (con i debiti). Di Maio pronto a portare in tribunale i morosi
Luigi Di Maio va al contrattacco. Alcuni parlamentari del M5S si sono letteralmente rifiutati di versare il contributo per l’organizzare la festa per il decennale del Movimento che si svolgerà questo fine settimana a Napoli, presenti il capo politico, il premier Conte e il fondatore Beppe Grillo (assente di peso il pasionario Alessandro Di Battista). I dissidenti hanno deciso di non contribuire economicamente alla manifestazione in polemica con i vertici pentastellati.
Ma il ministro degli Esteri non ci sta. E ricorda che dalla primavera del 2019 un quarto dei parlamentari non restituisce la parte della propria indennità come previsto dallo statuto. «Un bel problema», ammettono dalla cabina di regia del Movimento. In prima linea per trovare una soluzione, su un tema molto sentito dalla base e dagli attivisti, è il tesoriere della Camera Sergio Battelli che sta cercando di trovare una quadra per evitare l’extrema ratio delle espulsioni. Secondo quanto riferisce il quotidiano La Stampa, soprattutto in Senato, dove la maggioranza è meno solida, i vertici ammettono che «ci sono degli equilibri da mantenere».
Di Maio però oggi, dopo il caso della kermesse romana, non sembra più disposto a mediare ed è pronto a mettere la questione, sempre secondo quanto apprende il quotidiano torinese, in mano a uno studio legale romano che dovrà richiedere il dovuto ai parlamentari morosi. Non si tratta di cifre trascurabili visti che ormai il “debito” dei dissidenti sarebbe arrivato vicino alla cifra di un milione di euro. L’ultimo Restitution Day, l’occasione in cui i 5 Stelle dichiarano pubblicamente quanto versato al fondo per le imprese, risale allo scorso maggio, prima delle elezioni europee: da allora appunto in molti hanno scelto di non versare più la quota di stipendio prevista dalle regole interne.
Un caso sintomatico della situazione è stato quello della donazione, promessa da Di Maio, alla famiglia del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega, il militare ucciso tre mesi fa a Roma. L’ex vicepremier allora dichiarò che le restituzioni pentastellate del mese di luglio (quasi 600mila euro) sarebbero andate al fondo dell’Arma in favore della vedova. Ma sul fondo dai 5 Stelle non è mai stato versato nulla, perché, si dice, in cassa c’è sempre meno. E fra qualche settimana il conto verrà chiuso.
Per rimediare al problema delle restituzioni i membri del direttivo di Camera e Senato, dopo mesi di richiami informali, hanno deciso per la linea dura. Al primo mancato pagamento verrà inviata una lettera (amichevole) dallo studio legale con la quale si solleciteranno i versamenti arretrati. Se la missiva verrà ignorata i legali saranno autorizzati a procedere in giudizio e a chiedere l’ingiunzione.
Ma il M5S ha giuridicamente diritto a ricevere la quota degli stipendi dei parlamentari a cui Di Maio oggi non sembra più disposta a rinunciare? La risposta è arrivata, paradossalmente, proprio per l’attivismo dei dissidenti in polemica con i vertici del Movimento. Qualche settimana fa, infatti, i “ribelli” aveva chiesto «chiarezza» sulle restituzioni, con la minaccia di non versare più nulla se non si fosse fatta definitivamente luce sulla natura del contributo: sono donazioni o meno? Devono, o meno, essere tassate?
L’arma si è rivolta contro i dissidenti, dopo che il capo politico Di Maio si è rivolto all’agenzia delle Entrate che ha definito una volta per tutte la questione. Non sono donazioni, ma un obbligo legale imposto dalle regole interne del movimento. Niente tassazione, quindi, ma, soprattutto, la vittoria dei vertici pentastellati: si tratta di un obbligo. Ma quanti sono i parlamentari a rischio citazione in giudizio? Secondo La Stampa sono 68 quelli che non versano il contributo da febbraio 2019. 43 addirittura non hanno corrisposto nulla dal 2018. Primo della lista il senatore Lello Ciampolillo: da quanto è stato eletto, il 5 marzo del 2018, non ha ancora rendicontato un euro.
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