Siria, gli accordi Turchia-Ue sui rifugiati e il “ricatto” di Erdogan
Era solo questione di tempo. Dopo gli accordi del 2016 con la Turchia sui respingimenti, l’Unione europea aveva concentrato le sue energie anti-migranti sul Mediterraneo, forte del fatto che, grazie ai finanziamenti promessi alla Turchia, la Siria avrebbe smesso di essere un problema. Ma il Medio Oriente è tornato a bussare più forte di prima, e l’Ue non può fingere di non sentire cosa accade al suo confine.
Oggi 14 ottobre, i ministri degli Esteri europei si incontreranno per un vertice che anticiperà quello di giovedì 17: gli argomenti sul tavolo sono lo stop all’export delle armi in Turchia (già avviato da Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Germania e Francia) e la questione dei rifugiati.
Formalmente, l’intento proclamato da Erdogan è proprio quello di sovrascrivere al territorio curdo una “zona cuscinetto” dove collocare i rifugiati siriani accolti in Turchia dopo l’accordo. Nelle parole una “safe zone“, nei fatti una tentata sostituzione etnica che ha già messo in fuga migliaia di persone.
Le conseguenze dell’offensiva nel Rojava
«Se provate a presentare la nostra operazione come un’invasione – ha detto Erdogan rivolgendosi all’Ue – sarà semplice: apriremo le porte e vi manderemo 3,6 milioni di migranti (la metà del totale dei profughi siriani, ndr)». Ma la minaccia – che è prima di tutto umanitaria – si sta già avverando.
Le truppe di Ankara e dell’Esercito libero siriano (Els) stanno bombardando le città al confine, mentre continua l’avanzata verso il Rojava. Colpiti ospedali, ambulanze, centri di ricovero, uccisi miliziani Ypg e civili. Secondo l’Unhcr, in appena 6 giorni dall’inizio dall’operazione, gli sfollati sono oltre 180mila.
Con il ritiro delle truppe statunitensi dai territori curdo-siriani, centinaia di persone affiliate allo Stato Islamico hanno lasciato i campi di detenzione. La prima conseguenza si è già vista a Qamishli, dove l’Isis ha rivendicato l’esplosione dell’11 ottobre di un’autobomba, che ha ucciso, tra gli altri, Havrin Khalaf, la leader del partito anti-Assad Futuro per la Siria.
«Non è possibile che la Turchia ci dica: “O fate i bravi o vi mandiamo i migranti», ha detto il ministro degli esteri Luigi Di Maio.
In cosa consiste l’accordo del 2016
L’accordo tra Unione Europea e Turchia fu siglato a marzo del 2016 tra i 28 leader europei e l’allora premier turco Ahmet Davutoglu, già sotto presidenza di Erdogan. L’Unione Europea usciva dall’anno peggiore della crisi migratoria: il numero di rifugiati approdati nel 2015 solo sulle isole elleniche segnava quota 856.723.
Il flusso di migranti in fuga verso l’Europa continuava senza sosta a riempire gli arcipelaghi del Mar Egeo, tanto da spingere l’Ue a considerare l’idea di un accordo con la Turchia, principale passaggio per i migranti provenienti dal Medio Oriente. Gli Stati europei siglarono un patto per respingere in Turchia i migranti arrivati in Grecia, al fine di scoraggiare chiunque fosse intenzionato a intraprendere il viaggio.
Conferendo alla Turchia lo status di Paese sicuro, le parti si accordarono che “per ogni rifugiato siriano rimandato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarebbe stato ricollocato nell’Unione europea tenendo conto dei criteri di vulnerabilità previsti dalle Nazioni Unite”. In cambio, la Turchia si impegnava a prevenire gli attraversamenti via mare dalle sue coste, grazie all’aiuto di finanziamenti pari a più di tre miliardi di euro, con altri tre miliardi aggiuntivi in una fase successiva.
Oltre ai respingimenti e agli aiuti economici, ai cittadini turchi fu promessa la liberalizzazione dei visti per l’Europa non appena Ankara avesse soddisfatto le 72 richieste per l’idoneità avanzate da Bruxelles. L’ultima clausola, ma non la meno importante, dava alla Turchia la speranza di vedersi sbloccato l’ingresso in Ue – questione che va avanti dal 1963.
Una soluzione incompleta
La logica del respingimento non ha migliorato affatto le condizioni di vita dei rifugiati, né ha migliorato i rapporti diplomatici tra le parti. Stando ai dati di Medici Senza Frontiere, in Grecia, i migranti bloccati negli hotspot delle isole sono ancora più di 12mila – oltre le migliaia ancora bloccate sulla terraferma.
Come testimoniano gli episodi di strettissima attualità, i rifugiati sono costretti in centri che dovrebbero essere evacuati per mancanza di condizioni adeguate alla sopravvivenza. «È chiaro come la responsabilità di questa situazione sia di natura politica», dicono da Mdf. «Bisogna trasferire i rifugiati in strutture adeguate, dove possono accedere alle cure mediche di cui hanno bisogno».
Dal lato turco, a marzo 2018, il totale di rifugiati siriani ricollocati dalla Turchia verso diversi Paesi europei era di 12.778, con la Germania e l’Olanda ad accogliere il maggior numero di persone. In più, nonostante le premesse (e le promesse) dell’accordo, l’Europa continua a bloccare la richiesta di ingresso della Turchia nell’Ue. Come ciliegina sulla torta Erdogan accusa i leader europei di «non aver pagato i miliardi di euro promessi durante le trattative».
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