El Camino, il film di Breaking Bad diventa un tributo (non necessario) al passato
Ruffiano, ovvero «chi cerca di acquistarsi il favore altrui con l’adulazione» (vocabolario Treccani). Questo aggettivo racchiude in modo abbastanza completo la sensazione che si ha dopo aver visto El Camino, il sequel di Breaking Bad prodotto, scritto e diretto da Vince Gilligan. Non una nuova serie, solo un film, disponibile su Netflix a partire dall’11 ottobre. Come annunciato, la pellicola racconta cosa è successo a Jesse Pinkman dopo l’episodio che il 29 settembre 2013 ha segnato la fine della serie. Non è il primo spin-off della saga di Walter White. Nel 2015 è cominciata Better Call Saul, una serie in cui viene raccontata la storia di Saul, l’avvocato che ha aiutato a White e Pinkman a costruire un solido impero commerciale basato sulla produzione di metanfetamina.
L’eredità pesante dell’ultimo episodio
Chiudere una serie con così tante aspettative non è semplice. Se lo ricordano bene i fan di Game of Thrones, che hanno pure firmato una petizione, su Change.org, per chiedere agli autori di girare da capo l’ultima stagione. Eppure Breaking Bad c’è riuscito. Il suo ultimo episodio, Felina, è ancora in cima alle classifiche dei siti di rating. Solo su Imdb.com ha ottenuto un punteggio di 9,9 su 10. Una fine, quindi, Breaking Bad ce l’aveva già. Dove certo, la storia di Jesse Pinkman era ancora aperta a diverse possibilità ma quella di Walter White, quella che era riuscita a coinvolgere milioni di spettatori, era finita. Eppure dopo Better Call Saul, spin-off ben riuscito, qualche credito questo film poteva meritarselo.
– Da qui cominciano gli spoiler –
Un film per i fan, ma quelli che si ricordano tutti i dettagli
Nel film non sono presenti flashback o riassunti. Anzi. Tanti elementi sono pensati per fan che si rircodano molto bene la trama delle ultime stagioni. E non solo quella principale ma anche tutti gli episodi secondari o i personaggi dimenticati, come Ed l’estrattore, l’uomo specializzato nel far ricominciare una vita a chi ha un sacco pieno di mazzette di dollari in mano. E ancora, il motivo per cui Jesse aveva una catena legata attorno alla vita ed era costretto a cucinare metanfetamina, l’origine di tutte le sue cicatrici, o perchè è ricercato dalla polizia. Tutto viene dato come conosciuto per lo spettatore, senza perdersi in spiegazioni sul passato.
La struttura del film, un finale subito rivelato
Da questa pellicola passano molti degli attori che hanno partecipato alle fasi finali della serie, da Charles Baker nel ruolo di Skinny Pete a Jonathan Backs nei panni di Mike Ehrmantraut, investigatore privato ed ex sicario al soldo di un trafficante di droga. Quasi una serie di cameo, o dei tributi, per salutare personaggi che gli spettatori hanno già abbandonato anni fa. L’effetto non è il massimo e l’organizzazione del racconto non aiuta. Nelle prima scena, quel dialogo tra Jesse e Mike, in cui il vecchio killer suggerisce di andare verso in Alaska, anticipa subito il finale del film che quindi diventa quindi un percorso tutto volto a raggiungere questo obiettivo. Certo, le intuizioni non mancano, come la scena ripresa dal’alto in cui Jesse fruga nella casa di Todd. Eppure alla fine non c’è molto di più che il percorso accidentato di un ricercato verso un luogo sicuro in cui vivere. Una volta passati i titoli di coda quindi, la domanda che uno spettatore potrebbe farsi è abbastanza chiara: «Era davvero necessario un altro finale di “Breaking Bad”?».
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