Enes Kanter, il cestista turco che si oppone a Erdogan: la storia di un giocatore “bandito” dal suo Paese
Un uomo senza patria. È la storia di Enes Kanter, il cestista turco che dal 2017 vive una vita da apolide per la sua opposizione al governo di Recep Tayyip Erdoğan. «Non vedo e non parlo con la mia famiglia da cinque anni, mio padre è in prigione, i miei fratelli e sorelle non possono trovare un lavoro. Il mio passaporto è stato revocato, c’è un mandato di cattura internazionale, la mia famiglia non può lasciare il Paese, ricevo minacce di morte ogni giorno, sono stato attaccato, minacciato, hanno provato a rapirmi in Indonesia. La libertà non è gratuita». Un post che sembra una fredda lista, ma che per Kanter è la storia, tragica, della sua vita. Da anni il giocatore dei Boston Celtics militante nella Nba americana, è sotto costante minaccia da parte del regime di Erdgoan per le sue posizioni apertamente contro la politica repressiva di Ankara: «Come posso restare in silenzio? Ci sono decine di migliaia di persone in prigione in Turchia, tra cui professori, dottori, giudici, avvocati, giornalisti e attivisti. Rinchiusi perché hanno detto di non essere d’accordo con Erdoğan. Centinaia di bambini stanno crescendo in celle strette e anguste al fianco delle loro madri. Democrazia vuol dire avere la libertà di parlare, non dover essere rinchiusi in galera per questo», ha scritto il cestista in una lettera aperta al Boston Globe.
Il golpe del 2016
Ma la storia di Kanter è un lenta discesa verso l’inferno iniziata nel 2011. Il giocatore nato a Zurigo, ma di nazionalità turca arriva negli Stati Uniti per giocare negli Utah Jazz. Da sempre Kanter non ha nascosto la sua vicinanza al movimento di Fethullah Gülen, politico e predicatore islamico turco, prima alleato e poi acerrimo nemico del rais turco. È il 15 luglio 2016, una data che diventerà uno spartiacque della recente storia turca e della vita del cestista ex Knicks. La notte del 15 luglio 2016 la Turchia si risveglia sotto il rumore dei jet che sorvolano Istanbul e la capitale Ankara. Il tentato colpo di Stato dura poche ore. All’alba la Turchia si sveglia nell’era dello Stato di Emergenza e con il presidente turco intenzionato a fare piazza pulita dei rivali storici e gli oppositori del suo partito. Accademici, giornalisti, militari, agenti e impiegati: chiunque non sia favorevole al corso che Erdoğan vuole dare alla Turchia viene spazzato via, sospeso, licenziato o peggio, messo in prigione. Ma il maggior responsabile di quella notte per il presidente turco è solo uno: l’ex alleato e ora nemico uno, Fethullah Gülen.
Kanter: il seguace di Gülen
Il giro di vite passa soprattutto tra il network gülenista che ora Ankara considera terrorista, e tra questi c’è anche il campione dell’Nba Enes Kanter, noto seguace del predicatore turco. Erdoğan non perde tempo e l’8 agosto la polizia fa irruzione nella casa dello sportivo a Istanbul. Cellulari, computer, gli agenti sequestrano quasi tutto. Da lì in poi la vita della di Kanter e della sua famiglia sarà un inferno. Il primo a finire nel mirino del Sultano è il fratello Kerem, che dopo aver vinto l’europeo under 18 nel 2013 viene bandiato nalla nazionale turca. Ma non basta. Ai genitori di Kanter viene requisito il passaporto. Dal 2016 non possono più lasciare il Paese. La situazione diventa ancora più drammatica quando il padre è costretto a disconoscere pubblicamente il figlio per la sua aperta posizione filo gulenista: «Con profonda vergogna mi scuso con il nostro presidente e con tutto il popolo turco per avere un figlio del genere», scrive il padre in una lettera al quotidiano filogovernativo Daily Sabah.
Una vita da apolide
Un dolore immenso che il cestista commenterà dicendo di aver perso quella che per 24 anni ha chiamato famiglia. Nel 2017 Kanter perde la cittadinanza turca, ma il cestista non risparmia accuse al rais: «Un lunatico, un maniaco, un dittatore, e per colpa sua non posso andare all’estero per fare il mio lavoro». Parole, offese per cui il cestista è stato condannato a 4 anni di carcere. Dopo aver perso la sua famiglia Kanter rischia l’arresto anche all’estero. Mentre si trova in Indonesia per seguire le sue attività benefiche, il suo agente lo avverte che le autorità locali lo stanno cercando per catturarlo. Sale sul primo volo per l’Europa e arriva a Bucarest, in Romania, dove scopre che il suo passaporto è stato “cancellato”. Kanter è ora un senza patria, ma l’intervento del senatore dell’Oklahoma gli permette di rientrare negli States. Per il giocatore dell’Nba arriva però nel 2018 un’altra botta: il padre perde il suo lavoro da accademico e viene condannato a 15 anni di carcere.
Un esule negli Stati Uniti
La vita di Kanter è continuamente in bilico. Lasciare gli Stati Uniti è rischioso, tanto che nel gennaio del 2019 il giocatore decide di rinunciare a una trasferta a Londra con i Knicks. Per lo stesso motivo nel marzo 2019 declina la possibilità di volare in Canada per un match con i Raptors. Ma, dopo l’inizio dell’operazione militare della Turchia in Siria Kanter non si è fermato, denunciando ancora una volta gli abusi di Ankara: «Essere il portavoce di questi ideali per un turco vuol dire rischiare la prigione e la violenza da parte dei militari. Mi hanno chiamato terrorista, hanno chiesto all’Interpol di arrestarmi. Starei marcendo in galera se fossi tornato in Turchia. Restare lontano dalla mia famiglia è un sacrificio enorme. Ma le cose buone non ti vengono mai regalate, non sono mai semplici da conquistare. Il mio problema non è con il mio Paese», ha detto al Boston Globe. «Il mio problema è con il regime nel mio Paese. La Turchia potrebbe essere il ponte tra l’Islam moderno e l’Occidente. Ma in questo momento, non c’è libertà: nessuna libertà di parola, nessuna libertà di religione, nessuna libertà di espressione. Non c’è democrazia – continua Kanter – Erdoğan sta usando il suo potere per abusare e violare i diritti umani. Il mio obiettivo è essere la voce per tutte quelle persone innocenti che non ne hanno una. Capisco che potrei semplicemente chiudere la bocca, guadagnare milioni di dollari in America e non preoccuparmi di questi problemi. Ma alcune persone in prigione sono i miei amici, i miei vicini, le persone con cui ho giocato a basket».
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