Joker e la sottile linea rossa tra complottismo, Bojack Horseman e Nietzsche – L’intervista
L’ultima rappresentazione cinematografica di Joker, stavolta confezionata in un vero e proprio film d’autore, irrompe nelle sale in un periodo in cui di Arthur Fleck (la vera identità di Joker) ne sono comparsi già, nel Mondo reale. Forse anche per questo dalla critica sono piovute accuse: si parla di un film pericoloso e di un rischio di emulazione. I Joker esistono da sempre come prodotto dell’epoca in cui sono vissuti. Sentono di essere delle vittime, ma non lo sono affatto. Non tutti arrivano al crimine efferato, la grande maggioranza di loro non ci arriverà mai. Ma ci sono e quest’ultimo film ce lo ricorda, e potremmo esserne un po’ tutti responsabili, ed è forse questo l’elemento più disturbante per chi esce dalle sale, dopo aver visto l’ultima pellicola diretta da Todd Phillips.
Il Mondo distorto nella mente dei Joker
Di complotti da parte di logge segrete si scriveva già duecento anni fa. Quando non si trattava degli ebrei erano i gesuiti o i massoni. Alla base di tutto c’è l’idea “consolatoria” di essere vittime di giganteschi piani orditi da misteriose élite, che si riuniscono in segreto per dominare il Mondo. Nell’universo di Joker il complotto è quello dei Thomas Wayne (il padre del futuro Batman), che incarna le élite contro cui ribellarsi. Il suo personaggio compie una scelta di cui è responsabile, anche se in parte frutto di una visione distorta del Mondo, a prescindere dal contesto e dai problemi di salute che gli rendono impossibile migliorarsi e realizzare dei sogni che sono ben al di là della sua portata. Joker vuole emergere da una condizione di disagio convincendosi di avere un talento per la stand up comedy, rendendosi ridicolo, ma dall’altra parte trova indifferenza e scherno. Cadendo sempre più nella follia trova dei capri espiatori, prima in Wayne, poi nel presentatore di successo Murray Franklin, e infine nella madre.
Esclusi in cerca di un riscatto
Il filosofo Riccardo Dal Ferro che da tempo si occupa di analizzare attraverso il cinema e le serie Tv i fenomeni storici, sociali e di costume, spiega a Open perché questo film non è pericoloso, mentre offre spunti interessanti per aiutarci a neutralizzare i presupposti che creano – di tanto in tanto – i Joker e i Balliet nel Mondo reale. «Si tratta di un discorso molto articolato – spiega Dal Ferro – il punto fondamentale è che da un lato ci sono questi personaggi che – come tutti noi – vogliono esprimere quel che pensano, per quanto malato o demente sia questo desiderio; dall’altro invece troviamo tutta una cultura che semplificando molto potremmo definire “progressista”, che per vent’anni è come se avesse voluto convincersi del fatto che gli Arthur Fleck, i Balliet e gli Anders Breivik non esistessero. Tutto è collegato al fatto che abbiamo voluto pensare per troppo tempo che queste persone non esistessero. Che fossero cose da prendere alla leggera, con la satira, l’umorismo e il cinismo. Facendo così crei le condizioni perché un Balliet riesca ad arrivare al punto in cui è arrivato. Ci arriva per massa critica, perché di potenziali Breivik in questo modo ne abbiamo prodotti migliaia. Tra questi uno ogni tanto riesce ad arrivare a quell’atto lì; questo è drammatico».
Bojack Horseman è molto più «pericoloso» di questo Joker
C’è uno studio che potrebbe fare al caso nostro, condotto nelle comunità americane dove sono avvenuti degli attentati, di cui solo una minima parte sono divenuti noti in tutto il Mondo, perché hanno provocato delle stragi. Volevano individuare i fattori che avevano in comune, in modo da individuare quelli di rischio. Tra questi fattori – oltre il facile accesso alle armi – troviamo anche il difficile accesso a servizi psicologici e psichiatrici. C’è una scena nel film in cui Joker vede negato questo servizio per via di un taglio dei fondi, anche se non sembra che prima avesse usufruito di un vero servizio. «Quella dei fondi che mancano diventa poi la scusa per tutto – continua il Filosofo – per me la scena della psicologa è emblematica, perché lei dice “non possiamo più vederci perché hanno tagliato i fondi” e Arthur Fleck risponde “sì, ma tu non mi ascoltavi manco prima”, quindi cosa cambia se tu sei pagato solo per startene seduta quelle otto ore? Timbri il cartellino, però poi non fai il tuo lavoro». Si è detto in certa critica che Joker è il protagonista, quindi anche per questo stiamo parlando di un film pericoloso. In qualche modo infatti, giustificherebbe un sentimento di sfiducia e ribellione verso il cosiddetto establishment.
«Anche qui ci sarebbero tante cose da dire – ribatte Dal Ferro – prima di tutto nessuno ha detto che l’arte non dovrebbe comportare un pericolo; nessuno ha detto che l’arte non dovrebbe individuare un pericolo; questo non è un film pericoloso; ci mette in guardia nei confronti dei pericoli. Dietro l’idea che Joker sia un film pericoloso c’è quella volontà di neutralizzare quello che può essere un messaggio estremamente fastidioso. Quel messaggio non è neanche la violenza, perché se ci pensiamo, fatta eccezione alcune scene, non ce ne sono poi di così tanto violente. C’è questa necessità di neutralizzare, ma con questo film non puoi farlo, perché c’è una cosa reale, e la cosa realmente – pericolosa – sapete qual è? Questo film accusa lo spettatore. Non c’è un rischio di emulazione, anche se tutti i media hanno un coefficiente di emulazione; per evitarlo dovremmo eliminare la letteratura, il cinema e i videogiochi; è inevitabile. Il vero valore in questo film non è il pericolo di emulazione, bensì il fatto che ti presenta un anti-modello. Viviamo in una società distorta in cui va bene che degli adolescenti si immedesimino su Bojack Horseman o Rick di “Rick & Morty”, invece consideriamo Joker pericoloso. In realtà è molto più pericoloso che venga preso a modello Bojack Horseman.
Ci sono migliaia di persone che dicono di prendere quel personaggio come modello. Ma come fai? Bojack è il cinico che non crede in nulla. Joker dice “guarda che è quello il vero pericolo”: quello del cinismo della società dello spettacolo; della presa in giro delle cose che invece dovrebbero essere prese seriamente. Ogni volta che prendiamo in giro un terrapiattista apriamo sempre di più l’orizzonte verso la nascita di un Joker (ovviamente sto estremizzando). Questo è un film prezioso perché – come dovrebbe fare sempre l’arte – ci rimette in discussione, nella nostra quotidianità. Quando è stata l’ultima volta che abbiamo messo in atto un processo come quello che viene denunciato nel Joker? Questa pellicola racconta il fatto che noi viviamo di questi processi. Il cinismo di cui siamo pervasi è lo stesso che viene denunciato da David Foster Wallace, secondo cui il sarcasmo elevato a istituzione è l’equivalente di un suicidio collettivo. L’ironia invece è una figura retorica preziosa – non se ne dovrebbe lo stesso abusare – ma il vero problema è il cinismo sarcastico».
Il mito del successo attraverso i media di massa
C’è un ruolo giocato dai media tradizionali e soprattutto dalla televisione. Nel film lo si vede in modo particolare. I media di massa oltre a farsi vettore di fake news e disinformazione, trasmettono anche il mito del successo, sfruttano il bisogno di rivalsa di certi personaggi. «Questo è un messaggio sicuramente presente – conferma il Filosofo – i cosiddetti “quindici minuti di celebrità” di Andy Warrol, anche se lui in realtà voleva dire l’esatto opposto. Anche questo è un messaggio molto forte perché vuole farci rendere conto del fatto che queste persone esistono. Prendiamolo con le dovute pinze, ma ci sono e non puoi farli sparire con una bacchetta magica. Non possiamo evitarlo. Il messaggio del film è che Arthur non potrebbe avere il successo, così come noi lo intendiamo, perché è letteralmente inabile alla relazione.
Il problema dei minuti di celebrità ha invece radici molto più profonde. Il fenomeno da baraccone è da sempre parte dell’immaginario comune. Nei villaggi c’erano i nomadi circensi che portavano il deforme. Mi viene in mente l’Elephant man di David Lynch. C’è sempre stato un certo gusto per il cinismo grottesco. Forse la Tv ha inasprito questa cosa, ma d’altra parte guardiamo anche YouTube: i primi video della piattaforma che abbiamo visto sono quelli di Rosario Muniz, Giuseppe Simone, Gemma Del Sud e altri. Andrea Dipré ci ha fatto una carriera, così come Barbara d’Urso. Una carriera sul mettere alla berlina questi personaggi. Ma siamo noi i primi a farlo, guardandoli. Il fenomeno da baraccone è una persona che come Arthur Fleck vuole mostrarsi, manifestarsi e dire a tutti “guarda che io esisto” e lo fa con mezzi che forse non sono i migliori. Perché sceglie quelli? Per emulare gli altri. Il principio di emulazione non è nostro nei confronti di Joker, ma di lui nei nostri. Diventa così il fulcro del cinismo che usiamo per sentirci migliori».
La sottile linea rossa tra Nietzsche e Joker
Potremmo azzardare in conclusione un parallelo col filosofo divenuto folle, più noto in assoluto: Friedrich Nietzsche. Si narra che prima di impazzire raccontasse nelle lettere alla madre che i suoi libri fossero molto apprezzati, mentre non era così. Quando poi cadde definitivamente nella follia, in un raro momento di lucidità avrebbe detto alla madre di essere stupido, ma allora i suoi libri facevano davvero tendenza, solo che lui ormai non era più in grado di comprenderlo. «Il fatto che Nietzsche non sia diventato Joker è una pura casualità dovuta ad un contesto totalmente diverso – spiega Dal Ferro – perché lui ha tradotto il suo disagio devastante, anch’esso prodotto da una serie di patologie non indifferenti, in libri di filosofia, creando l’immaginario dell’Oltreuomo. Nulla ci vieta di pensare che Nietzsche avrebbe potuto veramente uccidere qualcuno, traducendo quel disagio in altre cose, molto più violente ed efferate. Perciò sì, il parallelo ci sta. Si tratta del disagio di non saper tradurre in realtà quel che tu vorresti essere. Molti filosofi hanno prodotto le loro opere proprio perché si sentivano insufficienti rispetto al loro ideale. Nietzsche forgia l’immaginario dell’Oltreuomo di fatto perché lui si sente inadatto a raggiungerlo. Ed è in questo processo che si forgerà poi il suo messaggio filosofico».
In fondo non è “soltanto un film”?
«Individuare i presuposti filosofici dietro un film o una serie Tv, canzone o videogioco, è il modo per non diventarne vittime – conclude il Filosofo – molti di quelli che si fermano alla superficie di Joker possono essere vittime di un fraintendimento, arrivando a pensare che Lui sia il vero eroe della storia. Così cercare i presupposti di queste opere non è un semplice esercizio di stile. Vedendo diversi livelli di lettura di un film ne diventi meno vittima. Se ci fermiamo a un solo livello di lettura, superficiale e immediato, rischi di fraintendere e diventi vittima di qualcosa di sbagliato. In questo modo possiamo usare quel che vediamo senza subirlo, per migliorare la nostra vita». Un po’ come l’idiota che non sa perché apprezza o detesta una determinata cosa. Sono tutti temi che possiamo trovare anche nel tuo ultimo libro Spinoza & Popcorn. «Sì, è la radice dell’inconsapevolezza: convincersi di qualcosa senza chiedersi le ragioni. La filosofia è sempre quella cosa lì: riconosco un’idea o un pregiudizio e lo metto in discussione. Cerchi di smontarlo e vedere come è costruito; magari poi mi ci convinco razionalmente, però almeno so come funziona. La stessa cosa possiamo farla nel Joker: perché ci ha colpito? Bisogna scavare a fondo per capirlo».
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