La strage di donne e bambini in fondo al mare di Lampedusa, chi erano i disperati dell’ultimo naufragio – Video
Sono morti insieme, alle 3 del mattino del 6 ottobre, a 6 miglia da Lampedusa. Sono morti all’arrivo dei soccorsi, più di 50 persone corrono terrorizzate verso le motovedette, ribaltano un barchino col motore rotto, già mezza affondata, nel mare a forza 3. La guardia costiera riesce a salvare 22 naufraghi.
Per giorni il vento fortissimo alza onde alte due metri, rendendo praticamente impossibili la ricerca dei dispersi. A terra, i familiari delle vittime sfilano davanti a corpi avvolti in teli verdi e neri. Sono state trovate 13 donne, tutte di origine ivoriana. Viene riconosciuta una bambina di 12 anni. L’arcivescovo di Agrigento prega su 23 bare. La procura di Agrigento apre un fascicolo a carico di ignoti ipotizzando, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la morte come conseguenza di altro reato.
Dopo giorni di lavoro incessante, i sommozzatori della guardia costiera di Lampedusa trovano il relitto, a 60 metri di profondità, e 12 dei 17 dispersi. Un robot, un ROV (Remotely Operated Underwater Vehicle), riprende i resti.
Il naufragio del 6 ottobre, descritto da azioni e reazioni, dalla preghiera alla polemica, dalle parole e ora anche dalle immagini, trova la sua sintesi e il suo simbolo: un neonato e la mamma, abbracciati in fondo al mare. Lo scafista è ancora tra i dispersi.
«Ci abbiamo creduto fino alla fine» dice il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella, il coordinatore delle indagini. Il barchino è a una profondità tale da permettere ai sub soli pochi minuti di attività. Ma messo in atto la «necessaria attività preparatoria», la guardia costiera ha informato con una nota che continuerà le sue attività di ricerca.
Per rispetto alle vittime, per continuare a fare luce su anomalie evidenti ed evidenziate dai superstiti. Una sovrabbondanza di donne e bambini, perlopiù di origine subsahariane. Le condizioni poverissime dello scafo, la totale assenza di strumenti di salvataggio o comunicazione, e la scelta di metterlo in mare alla mercé degli elementi.
Anche la rotta è inconsueta: i migranti subsahariani si sarebbero imbarcati in Libia, per poi fermarsi a Sfux e accogliere una quindicina di persone in arrivo da Tunisi. Potrebbe essere una conferma della collaborazione tra trafficanti libici e tunisini, sulla quale la procura di Agrigento lavora da mesi.
Intanto, rimangono le vittime, i superstiti, le parole e anche le immagini. La notte tra il 6 e il 7 ottobre è affondato un barchino, pochi giorni dopo una manifestazione per ricordare le 366 vittime della strage del 3 ottobre del 2013. Anche quella notte, una strage a poche miglia dalle nostre coste.
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