Riservato: attenti agli accordi di Erdogan con Trump. I curdi salvano la pelle ma perdono le terre
Sollievo, addirittura esultanza, come se fosse scoppiata la pace: ma l’accordo di Ankara tra il presidente turco Erdogan e il vicepresidente americano Pence va letto con più attenzione. Trump attraverso il suo numero due ha comprato tempo, ma niente più. Anzi.
Nelle pieghe dell’intesa sulle 120 ore di tregua c’è il diktat turco: i curdi, combattenti o civili che siano, devono sgomberare dalle loro case e caserme entro questi cinque giorni “generosamente” concessi dal Sultano di Ankara. In pratica, trascorso quel tempo ai soldati turchi sarà data licenza di usare ogni mezzo, le armi in primis, per neutralizzarli: un verbo che è diventato sinonimo di uccidere.
Per Erdogan tutti i combattenti curdi sono terroristi, e i combattenti dell’YPG (l’esercito popolare curdo decisivo per sconfiggere l’Isis) criminali di guerra. Tra 120 ore, se nulla cambia, tutti i curdi, soldati, anziani, donne o bambini che siano, verranno etichettati come rifugiati.
Purché ovviamente non si trovino più nella loro terra, quella che dal 23 ottobre sarà zona d’occupazione permanente turca, e che fino a oggi è stato il Rojava, embrione di una regione autonoma dei curdi che non vedrà mai la luce. Del resto “i curdi non sono angeli” ha detto ieri Trump, davanti a uno sbalordito Mattarella, e Il Pkk (Il partito comunista dei curdi di Turchia) è “peggio dell’Isis”. Se l’accordo è questo, e chi l’ha accettato ha simili idee, che cosa c’è di preciso da festeggiare, se non si è Erdogan…
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