Ferragnez, chiesta l’archiviazione per gli insulti sui social: perché sarebbe un precedente pericoloso
Sembrava un banale battibecco su Twitter, ma l’evoluzione della diatriba Martani-Ferragnez ha toccato un tasto delicato della giurisprudenza ai tempi dei social network. Tutto è iniziato quando Daniela Martani ha chiamato «idioti palloni gonfiati» Chiara Ferragni e Fedez su Twitter, dopo la festa che l’influencer aveva organizzato per il marito in un supermercato.
Io ve lo dico da anni che sono due idioti palloni gonfiati irrispettosi della vita delle persone e degli animali. Per far parlare di loro non sanno più cosa inventarsi. Fare una festa a casa era troppo normale altrimenti chi glie li mette i like #fedez #chiaraferragni #Carrefour pic.twitter.com/3h3KxvjoY0
— daniela martani (@danielamartani) October 22, 2018
Dopo che la coppia più famosa dei social ha querelato l’ex hostess e candidata del Grande Fratello 2009 per diffamazione, il 23 ottobre la pm di Roma Caterina Sgrò ha richiesto al giudice incaricato delle indagini preliminari di archiviare il caso.
Non è l’istanza in sé a far parlare, quanto la motivazione fornita. La pm ha chiesto l’archiviazione non perché ha ritenuto che le accuse non fossero lesive per la reputazione di Fedez e Ferragni, né perché sostiene che i 14.000 follower di Martani su Twitter siano irrilevanti rispetto ai 2 milioni che conta Fedez. L’argomentazione fornita da Sgrò è che i social godono di «scarsa considerazione e credibilità» e «non sono idonei a ledere la reputazione altrui», come riporta il Corriere della Sera.
Il «contesto dei social» priverebbe per Sgrò «dell’autorevolezza tipica delle testate giornalistiche o di altre fonti accreditate di postare scritti su internet». Questo perché Twitter, come Facebook, sarebbe frequentato da «un numero illimitato di persone, appartenenti a tutte le classi sociali e livelli culturali». Dunque, conclude la pm, «I termini scurrili, denigratori ecc. che in astratto possono integrare il reato di diffamazione, in concreto sono privi di offensività».
Sarà il giudice a decidere se accettare questa richiesta, ma l’argomentazione fornita dalla pm sembra un passo indietro nel percorso di riconoscimento da parte delle istituzioni della potenza divulgativa dei social network. Revenge porn, cyberbullismo e hate speech sono al centro del dibattito pubblico e giuridico e ormai è difficile negare che Facebook e Twitter abbiano preso il posto della piazza del paese.
Il commento del legale: «impensabile che i social siano zona franca»
«Se escludiamo i social network dai luoghi in cui diffamare è reato allora sarebbe escluso anche il bar, mentre non è così», commenta a Open Paolo Torsello, avvocato del team penale di DLA Piper guidato da Raffaella Quintana che si è occupato di casi a diffamazione a mezzo social. Quelle che la pm giudica piattaforme prive di autorevolezza sono ormai i mezzi di comunicazione privilegiati dei politici e persino delle istituzioni, fa notare il legale.
La giurisprudenza ha già preso posizioni diverse da quelle espresse dalla pm Sgrò. L’ultimo esempio illustre è quello di Paolo Pezzana, ormai ex sindaco di Sori, in provincia di Genova, condannato per diffamazione l’1 ottobre scorso per aver definito Matteo Salvini «str***, cattivo e pericoloso» in un post pubblicato su Facebook il 18 febbraio 2017.
Quello che il legale giudica «un errore» del pm – in base alle motivazioni pubblicate sul Corriere – è proprio il giudizio sul mezzo divulgativo. «Sarebbe stato comprensibile se la motivazione fosse stata che dare del pallone gonfiato non è lesivo per l’onore o la reputazione o che l’episodio, essendosi svolto virtualmente in presenza di Fedez e Ferragni rientra nel campo dell’ingiuria e non della diffamazione», commenta l’avvocato.
Torsello è fiducioso che il giudice non accetti le giustificazioni fornite dalla pm e afferma che se così non fosse «ci sarebbe un imbarbarimento: le persone si sentirebbero legittimate a insultare sui social network». E conclude: «Spero che non sia una nuova deriva del sistema, è impensabile ritenere che i social network possano essere ritenuti zona franca».