Delitto di Roma, due versioni lontanissime e molte cose ancora da chiarire
C’è una distanza enorme tra le parole pronunciate, e ovviamente soppesate, dal capo della polizia sul delitto di Roma che «non è una semplice storia di scippo» e quelle dette al Tg1 dalla fidanzata della vittima, che proprio una storia di scippo tentato e finito tragicamente racconta.
A volte capita che siano magari i cronisti a cercare zone d’ombra in fatti di cronaca che invece sono chiari e netti nella loro dinamica. Qui però c’è molto più che qualche discrepanza. C’è la testimonianza diretta della persona che stava accanto al ragazzo ucciso, e che era a lui legata, che parla di un atto di affetto, Luca che era andato a salutare il fratello minore nel pub, e poi di una doppia violenza subita, il colpo di mazza a lei per rubarle la borsa, e il colpo di pistola a lui che la voleva difendere.
Altro da quello che traspare dalla frase del capo della polizia, ma anche da quel che trapela dalla Procura, dove il delitto è collegato alla droga. Elemento totalmente negato dalla ragazza. Per protezione di Luca? Per autodifesa? O perché davvero la pista non è vera? Tra l’altro i familiari di Sacchi assicurano che il ragazzo non faceva assolutamente uso di droga.
Ma altri elementi vanno chiariti, e non di poco conto.
È vero che l’assassino, il suo complice e la vittima si conoscevano? E se sì, perché, visto che vivevano in quartieri diversi? E dove è finita l’arma del delitto, che a differenza della mazza non è stata trovata né nel residence in cui è stato preso Valerio Del Grosso né sulla terrazza in cui è stato pescato Paolo Pirino? Si dovrebbe trattare di un revolver, visto che lì, su quella strada davanti al pub John Cabot non è stato trovato nessun bossolo.
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