Quella cena fascista è illegale, e il sindaco deve dimettersi
Il frontespizio del menù speciale non lasciava dubbi sulla serata al ristorante delle Terme di Acquasanta, a pochi chilometri dal centro di Ascoli Piceno: la data in grande, 22 OTTOBRE, era accompagnata da un anno diverso dall’attuale, 1922.
Era il giorno della Marcia su Roma, l’evento fondativo del regime fascista. Subito sotto si leggeva «Giorno memorabile e indelebile», con una foto dell’Altare della Patria, nella fatidica piazza Venezia a Roma, e sotto un’altra frase inequivocabile: «La storia si rispetta e si commemora».
Aprendo, pagina due mostrava: sopra la scritta «Dio Patria Famiglia», un grande fascio Littorio, a destra del quale c’erano due simboli: un’aquila a ali spiegate con sotto la fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, il partito di Giorgio Almirante, e sopra un simbolo più attuale, quello di Fratelli d’Italia, che a Ascoli esprime il sindaco Fioravanti e il suo predecessore Castelli, probabile candidato del centrodestra alle prossime regionali nelle Marche.
Non è finita: se pagina 3 era dedicata alle numerose portate della cena, la pagina finale del menù raffigurava un inconfondibile volto, con tanto di citazione: «Camminare e costruire, e se necessario combattere e vincere». E la firma: Benito Mussolini.
Ecco, facciamola breve: questa cena era illegale, costituiva per forma e sostanza un’apologia del fascismo. Ma soprattutto è inconcepibile che vi abbia partecipato il sindaco della città, per poi tentare di negarlo in modo patetico quando la cosa si è risaputa.
Non c’è bisogno neanche di ricordare che Ascoli è medaglia d’oro della Resistenza: non cambierebbe niente se il fatto fosse avvenuto in qualsiasi altra città.
Si dovrebbe dimettere, quel sindaco. E se non lo farà, sarà compito del suo stesso partito indurlo a lasciare. Perché le istituzioni repubblicane non sono un optional, o peggio un rituale vuoto da tradire a cena, tra nostalgici di chi ci rubò la libertà.
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