Facciamo chiarezza sullo studio del Eehta- CEIS sulla disinformazione in ambito sanitario
Sono due i dati preoccupanti che si evincono dallo studio condotto mediante interviste a 1600 partecipanti, dal progetto Impatto delle fake news in ambito sanitario: alle domande riguardanti le vaccinazioni, nel 92,4% dei casi le notizie false in merito venivano ritenute condivisibili; nel 60% dei casi questi giudizi valevano, nonostante gli intervistati non fossero sicuri della veridicità delle fake news. Nel questionario erano presenti anche domande riguardanti diversi tipi di screening, importanti per intervenire tempestivamente in caso di gravi patologie; in generale le fake news ritenute condivisibili riguardavano un intervistato su due, anche se era informato del fatto che la notizia non era supportata da fonti corrette. Il progetto di ricerca finanziato dal Ministero della Salute è opera del Eehta- CEIS (Economic evaluation and Hta) della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata, assieme all’Università di Kingston di Londra. L’interpretazione del direttore del Eehta- CEIS Francesco Saverio Mennini – riportata in diverse testate – è che una volta diffusa, la notizia falsa è difficile da contrastare.
La viralità delle fake news contro i vaccini
Purtroppo non è ancora possibile conoscere ulteriori dettagli perché lo studio è ancora in fase di peer review da parte di una rivista scientifica con un alto impact factor. Ma abbiamo chiesto alcuni dettagli direttamente al professor Mennini, il quale spiega a Open che i volontari sono stati selezionati in modo che fossero rappresentativi di tutte le classi sociali e tutte le età. «I questionari sono stati somministrati mediante tablet e smartphone in piazze e centri commerciali, ma anche via Web attraverso banner pubblicati in quattro testate online – continua il Professore – i titoli delle fake news sottoposte ai volontari sono stati bilanciati: metà contenevano messaggi a favore della vaccinazione e metà contrarie».
Le fake news no-vax sono di diversi tipi: “fanno venire l’autismo”; “troppi antigeni fanno male”; “alcune vaccinazioni sono inutili”; eccetera. Attenzione però a non fare confusione: lo studio non può dimostrare che il 92,4% degli italiani crede in queste tesi, né si tratta della percentuale di fake news più diffuse (qualcuno titola che 9 fake news su dieci riguarderebbero i vaccini), ma non è questo che viene fuori dallo studio. I ricercatori colgono invece un altro dato estremamente interessante, ovvero la potenza virale delle notizie false in ambito sanitario – specialmente sui vaccini – su cui c’è stato un peso mediatico rilevante.
Flaggare o non flaggare?
Sorprendentemente per tutte le tipologie di fake news, il fatto che una notizia fosse flaggata come falsa in rete oppure no, risulterebbe irrilevante. Questo discorso varrebbe anche per vari tipi di screening: al tumore al seno, alla prostata e alla cervice uterina. Un altro aspetto su cui si dovrebbe riflettere infatti è il mal costume di ritenere condivisibile qualcosa in rete, anche se non si è convinti della sua veridicità. Forse è proprio questo il segreto della “viralità”: instillare il dubbio a prescindere e farvi leva, unito al desiderio di ottenere like e attenzioni nei propri profili social.
Metodo e scopo dello studio
Lo scopo del progetto del Eehta- CEIS è quello di misurare quanto ci costa la disinformazione sanitaria in rete, sia in termini sociali che economici. I test sono stati svolti utilizzando lo stesso modello utilizzato per analizzare il ruolo delle fake news nella vittoria di Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali. «Lo studio pone l’accento su un tema ampiamente dibattuto ma che ha visto la maggiore applicazione scientifica in altri contesti – continua Mennini – come quello politico o elettorale (Pennycook et al. 2018). L’adattamento di tecniche e teorie provenienti dalle scienze cognitive viene qui riferito al contesto sanitario che è pervaso da asimmetrie informative (per esempio tra medico-paziente) e che risulta quindi terreno fertile per la diffusione di credenze e convinzioni basate su notizie non verificate dal metodo scientifico».
I volontari sono stati sottoposti a tre fasi di analisi:
- Familiarizzazione – ai partecipanti divisi in due gruppi venivano mostrate sei notizie vere e sei false, in un gruppo queste ultime erano flaggate, nell’altro no;
- Distrazione – i partecipanti sono stati sottoposti a domande di cultura generale, chiedendo loro se erano pro o contro;
- Misurazione – dove si ripescavano 12 domande già presentate nella prima fase e 12 mai mostrate, chiedendo loro di valutarne l’accuratezza.
Nella tabella sui temi trattati vediamo che sette domande fake su dodici riguardano i vaccini, mentre il loro raggruppamento spazia anche sugli screening.
Il ritardo della divulgazione in rete
Il test ha potuto constatare anche come una fake news già letta da qualche parte abbia maggiori possibilità di venire condivisa. Questo ci dice molto sul ritardo con cui è giunta in rete una divulgazione scientifica corretta, mentre le fabbriche di fake news hanno colonizzato da tempo siti e social. Dall’altro lato, se flaggare le notizie false non produce effetti immediati sull’utente, può essere invece un valido strumento per gli addetti ai lavori, quando vi è la necessità di conoscere i criteri con cui decidere se scoraggiare o meno la visibilità di un contenuto in rete, impedendo oltretutto che possa essere monetizzato. «Appare evidente alla luce dei risultati della presente ricerca che esiste un’esigenza impellente di implementare strumenti atti a contrastare le fake news e gli effetti distorsivi che generano – commenta Mennini sulle agenzie di stampa – l’impatto economico e sociale di una notizia falsa, soprattutto in sanità, lo si paga spesso in vite umane».
Foto di copertina: Mike MacKenzie/Fake news nella stampa.
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