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Cile, la più grande protesta di piazza dal ritorno della democrazia nel 1990 – Il punto

02 Novembre 2019 - 08:50 Felice Florio
Decine i morti, migliaia gli arrestati, in quella che conferma essere l'ondata di proteste più forti negli ultimi 30 anni

Sono passate circa tre settimane dall’inizio delle manifestazioni che hanno fatto precipitare il Cile nella più grande crisi sociale e politica dal 1990, quando il dittatore Augusto Pinochet lasciò la presidenza l’11 marzo di 29 anni fa. Sui social, quella di venerdì primo novembre è stata definita “La marcia più grande di tutte”, culminata nella centrale Piazza Italia di Santiago. I cittadini chiedono di porre un freno agli abusi della classe dirigente e alla disuguaglianza dilagante nel Paese. Ma come si è arrivati a questo punto e quali sono gli scenari della crisi di uno degli Stati economicamente più avanzati del Sud America?

Il motivo scatenante

Il comburente delle proteste è stato l’innalzamento del biglietto del trasporto pubblico nella capitale, Santiago. Il governo di Sebastián Piñera ha vagliato un aumento del biglietto della metropolitana di 30 pesos: adesso, per usufruire del metrò, si deve pagare fino a un massimo di 830 pesos, l’equivalente di 1,17 dollari. I baccelli della grande mobilitazione nazionale si possono individuare nelle proteste degli studenti cileni che hanno incominciato, due settimane fa, a manomettere i tornelli della metropolitana e viaggiare senza pagare il biglietto.

Quelle forme di protesta sono dilagate in superficie: sono state date alle fiamme diverse stazioni di mezzi pubblici e saccheggiati negozi nella capitale. La risposta del governo è stata dichiarare lo stato di emergenza. Tradotto? Militari per le strade e l’introduzione del coprifuoco la sera di sabato 19 ottobre. Piñera, quello stesso giorno, si vide obbligato accedere e emanò un decreto per sospendere l’aumento delle tariffe della metropolitana: «Ho ascoltato con umiltà la voce della gente», dichiarò.

Migliaia di manifestanti cileni protestano cantano Il diritto di vivere in pace, di Victor Jara, davanti alla biblioteca nazionale

La disuguaglianza sociale

Nonostante il passo indietro di Piñera, le proteste non si sono arrestate: le città di Santiago, Valparaíso e Concepción sono state prese d’assalto e la popolazione ha continuato a danneggiare edifici e spazi pubblici. Per questo motivo il coprifuoco, domenica 20 e lunedì 21 ottobre, è stato esteso a molte aree del Cile. Chiuse anche le scuole. Durante la prima settimana di proteste, il governo ha confermato che «almeno 18 persone hanno perso la vita durante le proteste».

Ma perché non si sono placate le manifestazioni nel Paese? Ci sono almeno quattro motivi che hanno portato alla deflagrazione del malcontento dei cileni. Primo tra tutti, la disuguaglianza: secondo la Cepal, la Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi, l’1% dei cileni possedeva, nel 2017, il 26,5% della ricchezza. Se si considerano i dati dell’Istituto nazionale di statistica cileno, il 50% dei lavoratori ha un salario mensile uguale o inferiore a 562 dollari: i manifestanti hanno dato il via alle proteste per l’innalzamento del biglietto della metropolitana. Se si considera il prezzo del trasporto pubblico cileno in rapporto allo stipendio medio, il Paese risulta tra i più costosi al mondo per la mobilità pubblica.

Le altre cause

Il costo del trasporto pubblico si aggiunge all’incremento delle tariffe di luce e acqua. Dall’altra parte, il sistema sanitario è al collasso e il fondo pensionistico pubblico sta rivelando molte carenze, tanto da far studiare al governo una riforma per privatizzare il sistema previdenziale: molti cileni sono contrari alla misura. Quattro, quindi, le cause che hanno fatto scoppiare le proteste e la violenza nel Paese: costo del trasporto pubblico, aumento delle tariffe di luce e acqua, sistema sanitario e riforma delle pensioni. Il risvolto, in un’unica locuzione, è una crescente disuguaglianza sociale.

L’amministrazione cilena ha accertato che fino al 1 novembre sono stati 23 i cileni morti durante le proteste di queste settimane. I pubblici ufficiali hanno ammesso che cinque persone sono state uccise dalle forze di polizia e due mentre erano detenuti nei commissariati. Il rapporto dell’Istituto nazionale per i diritti umani, pubblicato il primo novembre, parla di 4.316 persone detenute, tra cui 475 bambini e adolescenti. Il numero di feriti dall’inizio delle proteste è salito a 1.574: almeno 473 hanno subito danni a causa di proiettili. Sono circa 160 le persone che hanno riportato ferite oculari, molte delle quali rischiano di perdere la vista per sempre.

Foto di Carla Motto

I risvolti internazionali

Le città maggiormente colpite dall’ondata di proteste sono La Florida, Santiago, Puente Alto, Ñuñoa, La Cisterna y Huechuraba. In queste aree urbane, per i danni a beni pubblici, si stima un costo di riparazione di 12 miliardi e 637 milioni di dollari. Un duro colpo per l’economia cilena, e la conta dei danni esclude i beni appartenenti ai privati cittadini. Basti pensare che la città di Valparaíso ha elaborato un piano di ricostruzione, che include sia pubblico che privato, dal valore di 19 miliardi di dollari.

Ma anche sul piano dei rapporti internazionali con gli altri Paesi, il Cile ha subito un danno che avrà conseguenze tanto diplomatiche quanto economiche. A causa delle proteste, il presidente Piñera ha dovuto annullare il Forum di cooperazione economica Asia-Pacifico, l’Apec, e la Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, il Cop25: entrambi gli appuntamenti si sarebbero dovuti tenere nel Paese entro la fine del 2019 ed erano stati già inviati gli inviti ai leader delle principali potenze mondiali. Ma, con l’assenza di pace sociale, organizzare due eventi dal costo pubblico di decine di milioni di dollari, sarebbe stato un ulteriore elemento di malcontento nella popolazione.

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