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«Rinascere», il libro di Manuel Bortuzzo: «Ho conosciuto l’abisso della disperazione, e ne sono uscito. Sulle mie gambe»

04 Novembre 2019 - 06:22 Angela Gennaro
È di «quel giorno», della «sfiga», dei suoi vent'anni - anzi, 19 più uno - e soprattutto della rinascita che il giovane racconta ora in un libro edito da Rizzoli e in libreria dal 5 novembre

Manuel Bortuzzo è un ragazzone di un metro e 92 che da piccolo voleva fare il pilota, fan sfegatato di Valentino Rossi e delle moto. Un ragazzo che voleva andare alle Olimpiadi di nuoto e che non avrebbe mai immaginato, invece, di scrivere un libro, di fare un film, di conoscere Raoul Bova. Quattro fratelli, tutti nuotatori, e quello sport che diventa il «marchio di famiglia». Anche se mamma nuota «come una tedesca che vede il mare per la prima volta, con la testa fuori e le gambe che scattano a rana…». E papà Franco – anche lui oggi “famoso” suo malgrado – che sì, se la cava, ma che all’acqua dolce della piscina preferisce quella salata del mare aperto. È di «quel giorno», della «sfiga», dei suoi vent’anni – anzi, 19 più uno – e soprattutto della rinascita che Manuel Bortuzzo racconta, in un libro edito da Rizzoli in libreria dal 5 novembre. Il titolo è il manifesto di questo ragazzo e di come tutta Italia abbia imparato a conoscerlo: «Rinascere». «Ho conosciuto l’abisso della disperazione, e ne sono venuto fuori, ora posso dirlo, sulle mie gambe», racconta Manuel. Già perché Manuel, a meno di un anno da quella notte e da quella sparatoria alla periferia di Roma, nonostante si sia sentito dire di aver perso per sempre l’uso delle gambe, reagisce e rinasce. È testardo, e ora il suo sogno è quello di tornare a camminare. Nessuno spoiler, no: la fine di questa storia Manuel deve ancora scriverla.

Un ragazzo

Nuotare è quello che ha sempre fatto, da quando aveva 3 anni. L’odore del cloro, per Manuel, è inconfondibile. È nato a Trieste nel 1999 ed è – prima di quella notte – una giovane promessa del nuoto. A 19 anni si allena al Centro federale di Ostia, dove è “planato” per provare a fare il grande salto, con campioni del calibro di Gabriele Detti e Gregorio Paltrinieri. Inimmaginabile, per lui, la scena di due ragazzi in moto che sopraggiungono una notte di febbraio e di una pallottola che lo raggiunge mentre, con la sua ragazza Martina, sta prendendo delle sigarette a un distributore automatico. Spari “causati” da uno scambio di persona. Pensare che Manuel e Martina neanche fumano. Come potrebbero? Sono entrambi nuotatori. Ma quella sera, ironia del destino, hanno voglia di trasgredire un po’. Manuel viene colpito alla schiena da un proiettile: si accascia a terra. La sua fidanzata, Martina, si china su di lui. L’amico che arriva, la polizia, la corsa in ospedale. Lorenzo Marinelli e Daniel Bazzano, accusati del tentato omicidio di Manuel e della sua fidanzata, sono stati condannati un mese fa a 16 anni per quanto accaduto la notte tra il 2 e il 3 febbraio 2019 ad Axa.

Manuel non ha rabbia. O forse sì, un po’. Ma è troppo impegnato per questo: lui sta portando avanti la sua battaglia. È incredibile la descrizione che Manuel fa nel libro di quei due ragazzi con la pistola. «I ragazzi che mi hanno sparato, in fondo, non hanno sbagliato persona, hanno sbagliato vita», scrive Manuel. «Ma la colpa non è loro, il contesto in cui sono nati e cresciuti e le scelte che hanno fatto li hanno portati a comportarsi in quel modo. Si sono impasticcati, sono tornati a casa dopo una rissa e hanno preso una pistola, poi sono rimontati in sella al motorino, mi hanno beccato al distributore, pensando che fossi il tipo con cui avevano litigato, e hanno fatto fuoco perché erano convinti che sparando si risolvono i conflitti. Hanno sparato alla persona sbagliata, ma poco importa perché se avessero individuato quella giusta sarebbe cambiato ben poco: in ogni caso, covare rancore e risentimento non serve a niente, è come gettare benzina sul fuoco».

Un filamento nel buio

Sono le 2.23 del 3 febbraio 2019. «Tutte le luci si sono spente e io sono piombato nel buio più pesto». La diagnosi per Manuel, dopo due operazioni e il coma, è di lesione midollare completa. Quindi sedia a rotelle, per tutta la vita. Ma con ulteriori esami i medici scoprono dopo qualche mese che quella lesione non è «completa». Manuel ha qualcosa da cui ripartire per rimettersi in piedi, un filamento. E così fa. «Stai tranquillo che ci riprendiamo tutto», gli dice d’altro canto papà Franco. La reazione di questo ragazzo di vent’anni è incredibile. Fin dal primo momento. Fin da quando riapre gli occhi dopo il coma farmacologico. «Non capita a tutti di trovarsi ad appena dodici millimetri dalla morte. Dodici millimetri più in basso rispetto al punto in cui sono stato colpito dal proiettile e non sarei qui a scrivere queste pagine», dice Manuel nel libro.

Il cloro

Una scena del film di Raoul Bova in cui Manuel Bortuzzo recita la parte di se stesso/Facebook

Manuel racconta – con linguaggio semplice e diretto, parole in fila di un bravo ragazzo poco più che adolescente – la sua storia e come è nato l’amore per il nuoto. Racconta che sono i 1500 la sua «gara d’elezione»: all’inizio si resta nelle retrovie, poi a un certo punto si comincia a spingere fino a piazzarsi in testa e vincere. «Preferisco nuotare sulle lunghe distanze che cimentarmi con gli scatti delle percorrenze brevi». Come nella riabilitazione. L’effetto dell’acqua vista dall’altezza di una sedia a rotelle «fa paura. Paura di affogare». Per lui, un nuotatore professionista. Manuel cambia, ma resta sempre lo stesso. Il richiamo del cloro è più forte di tutto. «Ho conosciuto l’abisso della disperazione, e ne sono venuto fuori, ora posso dirlo, sulle mie gambe. L’unica strada che conosco per rinascere». Da quella notte tutta Italia conosce, suo malgrado, Manuel Bortuzzo e la sua forza.

«Il mio caso ha fatto molto scalpore: nel giro di poche ore, dopo che è stata diffusa la notizia di ciò che mi era successo, i miei profili social sono stati inondati di messaggi di persone che, nonostante non mi conoscessero, volevano essermi vicine e io ho capito subito che avrei potuto rendermi utile, dare l’esempio a chi si trova o si è trovato in una situazione simile alla mia. Bastava fare una cosa che mi è sempre venuta abbastanza semplice: sorridere». Nel libro Manuel racconta cosa c’è dietro a quel sorriso. La paura, l’angoscia, la rabbia, anche la disperazione. Il sentirsi piombato in un incubo. L’agitarsi, nel coma, per risvegliarsi, come si fa durante un brutto sogno. L’impossibilità a farlo.

Barriere architettoniche

Mai lo avrebbe immaginato. Ma ora Manuel spera che l’eco mediatica della sua storia «possa servire a far crescere la sensibilità sul tema della disabilità. Io nel mio piccolo faccio quello che posso. Per esempio, sono riuscito a far sì che il bar sotto casa diventasse accessibile anche alle persone sulla sedia a rotelle. La proprietaria infatti, quando ha saputo che mi ero trasferito lì, ha detto a mio padre che le avrebbe fatto tanto piacere conoscermi. Peccato che il locale avesse l’accesso bloccato da uno scalino di almeno quindici centimetri. Dopo che gliel’abbiamo fatto presente, ha provveduto e l’ha sostituito con una piccola rampa di cui ovviamente non beneficio solo io, ma anche tutti gli altri abitanti del quartiere che hanno una mobilità ridotta», racconta il ragazzo.

Manuel ha compiuto 20 anni, ma quel giorno «è come se ne avessi compiuto solo uno, il primo compleanno della mia vita, della mia nuova vita. Una vita che è cominciata tutta in salita, ma che mi sta regalando innumerevoli soddisfazioni». Un film («Chi poteva immaginarlo?»), questo libro. Manuel ha persino imparato a suonare il piano. «Le cose cambiano, la vita ci mette davanti degli ostacoli, e noi non possiamo fare a meno di affrontarli», scrive. «Come ho dovuto fare io: un tempo il mio obiettivo erano le olimpiadi, adesso invece devo concentrarmi per rialzarmi e mettere un piede dietro l’altro».

In copertina il nuotatore Manuel Bortuzzo, Roma 2019/Ufficio Stampa Rizzoli

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